Come rilevò a suo tempo Enzo Jannacci – quelli che l’ha detto il telegiornale, oh yeah – la televisione possiede una certa forza comunicativa: voi ascoltate una cosa alla televisione, e dopo credete sia vera. Anzi, a differenza di quello che vi accade con certi congiunti – che appena dicono una cosa vi viene da contraddirli, per sedimentata contrapposizione polemica – con la televisione vien fatto di sospendere lo spirito critico. Poi uscite di casa, raccontate a un amico quello che avete sentito, e quello vi dice guarda che non è possibile. E solo in quel momento voi ci riflettete per la prima volta: è vero, che scemo.
Per esempio, sono stato a Bologna. Appena arrivato, ho detto a un bolognese appena conosciuto – per fare conversazione – che era davvero bizzarro che ci fosse ancora una via Stalingrado. Perché?, ha chiesto lui. Beh, ho detto io, forse la celebrazione dello stalinismo andrebbe rimossa dal nostro orizzonte toponomastico. E lui allora mi ha risposto che Stalingrado è il posto dove cominciò la disfatta bellica hitleriana, e la via di Bologna celebra la sconfitta del nazismo col nome di una battaglia, come potrebbe essere via Crimea o corso Magenta. Per quanto suoni stalinista, il nome della città era quello.
E io ho sorriso e ho detto già, imbarazzato. Adesso la prossima volta che sento Luca Barbareschi a Tetris fare una tirata sul fatto che l’Italia sia un paese ancora comunista perché a Bologna c’è ancora una via Stalingrado, sto più all’erta.
Vanity Fair
Un due tre Stalin
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