Otto e mezzo sta concludendo il suo sesto anno. A un certo punto ci ho lavorato anch’io, ma è passato del tempo e posso scriverne liberamente una celebrazione. In sei anni non è cambiato praticamente niente, se non alcuni conduttori a fianco di Giuliano Ferrara: a certi spettatori ne piaceva uno, ad altri un’altra, ma questo non ha mai fatto differenze sensibili nel gradimento del programma. Che Ritanna Armeni lo faccia da tre anni, qualcosa però vuol dire.

Nella televisione italiana non c’è niente di simile. Non esiste nessun talk show di attualità che si limiti alla discussione sull’attualità tra persone competenti, senza aggiungervi maggiordomi, comici, belle ragazze, applausi, giochetti o puntate ad effetto. L’idea è la più ovvia e meno inventiva del mondo: si parla di una cosa e si invitano gli ospiti giusti. Eppure non lo fa nessuno. Compatibilmente con le fatiche della ricerca degli ospiti – attività che occupa sfinentemente il tempo del 90% delle redazioni televisive – la redazione trova spesso facce nuove e manca una compagnia di giro stabile (a Porta a Porta e Ballarò, per fare due esempi, ci sono ospiti che dormono nello studio con un lenzuolo sopra). Il punto di Lanfranco Pace è puntuale e dice quello che c’è da dire. Un tempo mi chiedevo come mai le altre reti non si facessero il proprio Otto e mezzo, malgrado di Ferrara ce ne sia uno solo: ora penso che le cose più facili siano forse le più difficili

Vanity Fair