Ogni volta che guardo una partita alla televisione mi chiedo a cosa mi serva la telecronaca. Non me ne vogliano i commentatori, dev’essere una questione mia personale: in novanta minuti raccolgo al massimo tre o quattro informazioni che mi siano di qualche interesse o che superino le conoscenze che già ho (e non sono un esperto raffinatissimo). Eppure, provo a pensare alla partita senza telecronaca e mi sembra manchi qualcosa, benché sia il modo di guardarla più fedele a quello dello spettatore allo stadio. Provo a riflettere se dopo decenni di partite in tv non sia strano che non ci si sia inventati mai nessuna evoluzione del modello della telecronaca, mentre in televisione cambiava tutto: se si eccettua la Gialappa’s e il timido raddoppio dei conduttori, niente. La spiegazione è semplice: la partita è uno di quei rari eventi su cui l’intervento televisivo può solo disturbare, può solo peggiorarlo. Quelli bravi sono quelli che non si notano, o quelli che fanno i fenomeni quando la partiuta è noiosa. Esiste un’alternativa ai soliti vecchi clichés di linguaggio calcistico e banalità di interpretazione? Il telecronista donna? I telecronisti tifosi che litigano tra di loro? Il telecronista colto che racconta cose dottissime durante il gioco? I due commentatori che per tutta la partita parlano d’altro, o commentano i fatti del giorno?

Non so: forse vorrei sempre la Gialappa’s.

Vanity Fair