Siccome mi è capitato di scoprire che certe demagogie accecano persone di insospettabili lucidità, metto qui a verbale che la proposta di Beppe Grillo di impedire l’elezione al parlamento di chi ha subito condanne penali è una fesseria liberticida buona sola per farsi notare, simmetrica a cose tipo “un milione di posti di lavoro”.
In uno stato di diritto, la pena si esaurisce e serve – con espressione sgradevole ma ci capiamo – a “riabilitare” il condannato e a fare da deterrente. Ovviamente la proposta Grillo non ha senso in nessuno dei due casi.
In più, la pena è comminata dal giudice. Grillo di fatto propone esattamente quell’ingerenza della politica sulla giustizia che solitamente gli fa scandalo: è il giudice che decide pene e pene accessorie. Se ritiene ce ne sia ragione, infligge l’interdizione dai pubblici uffici per un determinato tempo.
Ma imporre per legge che chi compie dei reati non ritornerà mai un cittadino come gli altri con i diritti degli altri (e parliamo tra l’altro non di efferati fatti di sangue) è il contrario dello stato di diritto.
Per non parlare, se qualcuno accampa ragioni di tutela della comunità, della pretesa antidemocratica che lo Stato “tuteli” i cittadini impedendo loro di votare questo o quel candidato limitando la loro possibilità di scelta e implicando a priori che i cittadini non siano in grado di esercitare i loro diritti. Siamo nell’ambito della dittatura.
Il parlamento italiano ha bisogno di una regolata, a cominciare dalla drastica riduzione dei suoi quasi mille membri: ma una regolata intelligente, non de panza