Il mondo oltre Garlasco

Tra quello di buono che ha lasciato l’11 settembre 2001 c’è, da sei anni, una nuova disponibilità a sapere e capire le cose del mondo, in questo paese dove l’informazione è provinciale e leggera. Gli spazi sui giornali dedicati al resto del pianeta sono cresciuti, si vendono libri che parlano di posti lontani, c’è maggior frequenza con la stampa internazionale. Il satellite rende più familiari le tv estere, e internet mette a disposizione storie e notizie da ogni angolo della terra. C’è una domanda di informazione che viene soprattutto da generazioni abituate a pensare di abitare il mondo e non solo un suo angoletto chiuso dal mare e dalle Alpi, e molti settori editoriali vanno incontro a questa domanda.

Molti ma non tutti. Sulle sette reti generaliste, che tuttora si spartiscono la grande maggioranza degli spettatori italiani (ma non a caso sempre meno di quelli giovani), questa domanda è stata largamente e pigramente elusa. Gli approfondimenti e le storie che riguardano il resto del mondo continuano a essere un raro intervallo tra le vicende di quaggiù nei programmi di attualità. E sì che le opportunità sarebbero moltissime, e anche le tipologie di formato. Mi limito a suggerire quella più semplice che mi viene in mente, di cui ho visto ieri un noto esempio sulla BBC: ovvero l’intervista con i personaggi della politica e dell’attualità internazionale. Siamo un paese del G8 e qui da noi quasi nessuno ha mai sentito parlare Angela Merkel, o Vladimir Putin, o Bill Gates. Perché qualcuno non lavora a dei faccia a faccia, semplici, sottotitolati, che raccontino chi fa girare il mondo invece che il giudice Woodcock o le sorelle Cappa? Si prende un giornalista che sappia le lingue e gli si paga un biglietto aereo, a lui e alla troupe. Troppo difficile? Troppo noioso? Mandatelo a mezzanotte, come fate con tutte le cose migliori. No?

(No, all’una no: non esageriamo).

Vanity Fair

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“Really fucked”