Due post in cronaca

No, la riflessione per cui “ultimamente tutti quelli che vengono uccisi o compaiono in storie di cronaca hanno un blog un sito” è sbagliata, o superficiale. Quella giusta è “ultimamente tutti hanno un blog o un sito, punto”, soprattutto tra i più giovani: e se non tutti, quasi tutti. E questo – tra le altre molte cose – cambia anche il modo in cui la cronaca viene raccontata: perché il bacino di informazioni disponibili ai cronisti che una volta si precipitavano sfacciatamente ai citofoni dei parenti di vittime e carnefici è oggi a portata di clic e immenso. E dell’equilibrio con cui i giornali del giorno dopo affrontano i cosiddetti fatti di sangue sarebbe noioso parlare ancora: semplicemente non c’è. Quindi qualsiasi cosa “a effetto” viene estratta da contesti e vite ricchissime e complesse, e diventa “la vita” di quella persona. Una battuta di un giorno triste, un’ironia macabra, una foto con la faccia aggressiva, o abbattuta, la citazione di una persona: ciascuna di queste cose diventa per il lettore il ritratto unico di una storia. Ed è inevitabile, e dovremo abituarci: i giornalisti a pensare all’effetto che farà una loro scelta, i lettori a prendere con le triple molle l’impressione di un dettaglio.

Simmetricamente, i blog e le pagine web delle persone in questione diventano quello che i funerali e i tribunali sono diventati da tempo: non più luoghi privati e severi di lutto o di esercizio della giustizia, ma circhi di folla desiderosa di “partecipare”, imbucandosi nel lutto o nel giudizio. Certo che con internet questo succede più vistosamente: ma dare la colpa a internet è come dire che le guerre sono colpa delle armi.

Gazzetta dello Sport

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