Sofri, quello anziano, sull’improvvisamente eccitante cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico:
“Se l’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza di Roma fosse stata solennemente affidata a una lezione di Benedetto XVI, avremmo assistito a una meravigliosa cerimonia medievale in costume. Se la visita di Benedetto XVI alla Sapienza nel giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico fosse impedita o cancellata, assisteremmo a una meravigliosa recita di ottocentismo postmoderno.
In questa vicenda tanto romana, o almanco italiana, si è tentati per una volta di evocare la formula vietissima degli opposti estremismi, e comunque di un gioco di specchi. All’origine della Sapienza romana, si sente rivendicare, c’è la Bolla del 1303 di Bonifacio VIII. In verità, tutte le grandi università storiche (prima della odierna proliferazione, alla quale può bastare il segretario di un sottosegretario) ebbero origine da una Bolla papale, salva Bologna, che ebbe una nascita più laica e popolare, e Carducci ne fissò l’anno al 1088 solo per una convenienza municipale, incertezza che, si è osservato maliziosamente, consente alle autorità di protrarne le celebrazioni anniversarie a piacere. Dall’altra parte, si rinfaccia alla Chiesa la condanna di Galileo – 1633; o una frase dell’attuale pontefice pronunciata, a giustificazione del processo a Galileo, nel 1990. Ora, si potrebbe avvertire gli uni e gli altri che il 1303 è piuttosto lontano, e il 1633 anche, e lo stesso 1990 non è poi così vicino da farne una ragione di estradizione del Papa dall’università, che si chiama così perché vuol essere laicamente universale, e aperta a tutti.
Un ulteriore paradosso fa sì che il giudizio dell’allora, nel 1990, cardinale Ratzinger fosse contenuto in una citazione di Paul Feyerabend, estratta lei stessa dal contesto; e Feyerabend è, nella filosofia della scienza, un esempio spinto di anarchia relativista, polemico con la sicurezza scientista per le ragioni opposte a quelle di un Papa in generale e di questo Papa in particolare. Affidare l’inaugurazione dell’anno accademico a un Papa in generale, e a questo Papa in particolare, era suppergiù come incaricare un professore di fisica delle particelle di cantar messa in Vaticano la notte di Natale. Insorgere contro l’ingresso del Papa alla Sapienza è suppergiù come scambiare Benedetto XVI per Luciano Lama, e il 2008 per il 1977, o il 1870.
La Sapienza romana accolse già Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ma quelli erano meno oscurantisti di questo, si dirà. Può darsi, ma l’invito rivolto da una pubblica istituzione non distingue fra questo e quel Papa, se non nel merito, nel dialogo e nella discussione. Giovanni Paolo II, si dirà, era soprattutto pastore, questo resta dopotutto professore, dunque più irritante il suo razionalismo fideista agli occhi di colleghi e studenti: ma resta il fatto che di fede e ragione, come di tutto, la cosa migliore è discutere, a casa propria e altrui, e nelle pubbliche aule e piazze, tanto più quando le piazze non vogliano più, e comunque non possano, essere usate per metterci al rogo i frati di genio.
Nel settembre del 1989 Karol Wojtyla, in visita pastorale alla diocesi di Pisa, fu ospite della Sapienza della città in cui nacque Galileo, e insegnò da giovane. Fin dal suo arrivo in città ricordò la grandezza di Galileo, e nell’aula magna della Sapienza improvvisò un bel discorso dei suoi sulla grandezza e la responsabilità della scienza. Il 2009 è stato dichiarato, in memoria delle prime osservazioni che avrebbero condotto alla dimostrazione della concezione copernicana, anno galileiano, e in Parlamento aspetta una legge che dovrebbe patrocinarne lo svolgimento a Pisa, Padova e Firenze: c’è da sperare che l’aria che tira non faccia derivare questa felice circostanza verso una guerretta di religione e scienza. Nel primo 900 fu l’arcivescovo cardinal Maffi, astronomo anche lui, a proporre di erigere a Pisa un monumento pubblico a Galileo. Quando Giovanni Paolo II visitò la Sapienza, uno studioso come Adriano Prosperi non si sognò di formulare obiezioni, e piuttosto raccomandò di aprire finalmente l’archivio del Sant’Uffizio, raccomandazione già rivolta da Carlo Ginzburg, e finalmente accolta. Non sarebbe male se, accogliendo calorosamente o solo cortesemente Benedetto XVI, come si deve, gli si rivolgesse una raccomandazione sulla Biblioteca Vaticana chiusa per almeno tre anni, nella costernazione degli studiosi del mondo intero.
Io non saprei mai obiettare all’invito al Papa ad ascoltare e dire la sua in qualunque assemblea italiana, dopo aver auspicato che Giovanni Paolo II lo facesse alle Camere riunite e addirittura che parlasse lì di un tema che mi stava specialmente a cuore, e riguardava la responsabilità dello Stato italiano. Dalle carceri italiane partì allora una cartolina che portava stampata la frase: “Di’ soltanto una parola”. La questione, coi Papi come con ogni altra persona, è infatti questa: quale parola. Non il luogo, la cattedra o il marciapiede, dal quale viene pronunciata.
La discussione fra fede e scienza, e la demarcazione dei rispettivi territori, e il confronto di ambedue col potere, sono la cosa più seria di questo mondo, a condizione di avvenire, e non di essere reciprocamente elusi o peggio interdetti. Tra i docenti firmatari dell’appello contro la visita del Papa alla Sapienza figurano nomi dei più autorevoli e liberi scienziati italiani, persone di cui ciascuno di noi dovrebbe sentirsi responsabilmente scolaro. Che si siano sentiti tenuti a obiettare all’ospitalità fatta al Papa dentro la loro università è un segno di debolezza, o di forza, che è lo stesso. Forse la Chiesa dovrebbe esserne meno sorpresa di tutti, e chiedersi quanto le tentazioni di censura o di proibizionismi anticlericali debbano al suo proprio oltranzismo. Dopotutto, Galileo è lontano e benedetta la sua memoria, ma la lezione di amministrazione urbana impartita dal Papa, magari per penna interposta, al sindaco di Roma è affare dell’altro giorno”
Repubblica
E a proposito di confusioni cronologiche
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