Questa non è un’esercitazione

Sulla t-shirt di Jovanotti c’è scritto “Obama ’08”. È inverno, ma un sistema di camicia e giubbotto aperti gli permette di esibire fieramente il petto senza fasi venire i brividi: le campagne d’inverno sono sempre più complicate di quelle estive. Lorenzo è tornato da qualche settimana dall’America, dove ha registrato il nuovo disco – “Safari” – e ha girato il video di “Fango”, il primo singolo: quello di “Io lo so che non sono solo anche quando sono solo”, uno slogan che Obama gli invidierebbe.

La maglietta l’hai presa a Los Angeles?

Macché, l’ho ordinata su internet, per me e per Francesca. È arrivata subito.

Obama ti piace, eh?

Lui è veramente forte, ha una potenza simbolica fantastica. Guarda, se lui vincesse vorrebbe dire che il mondo prende una piega giusta.

Hai seguito i risultati del super tuesday, l’altra notte?

L’inizio, poi sono andato a letto. Bene, però, no?

Se la sta giocando: sta combattendo…

Puoi dirlo, fa una vita pazzesca. Lo guardo e penso che io dopo soli due giorni di conferenze stampa già vorrei morire.

Ti sembra stanco?

No, mi sembra un film. Sembra il personaggio di un film americano sul candidato alle presidenziali. E però quello è il paese dei film, può anche succedere che vinca davvero. All’inizio credevo che fosse impossibile: adesso penso sia molto difficile. Ma possibile.

E se butta bene per Obama sono contento per il mondo. Il presidente americano dovremmo votarlo tutti per quanto conta per il pianeta. E se vincesse Obama sarebbe un uno a zero dell’America nei confronti del mondo. Poi vediamo come fa il presidente, ma già saremmo molto avanti.

Ma tutta questa passione tua e di molti, qui, per le elezioni americane, ha a che fare con la scena italiana che è deludente?

In parte sì, ma io ti dico una cosa: se Obama ce la fa alle primarie, Veltroni vince le elezioni.

Ci credi sul serio?

Guarda, questa cosa di dire vado da solo, mi sembra buona e intelligente. E io credo che Veltroni possa vincere: io lo vedo che anche Giuliano Ferrara vorrebbe andare con lui e pensa “mi trovo con questi babbioni a faticare. Ma pensa te…”

E metterai la maglietta di Veltroni?

È che in italia non lo puoi fare: tifare Obama è un fatto liberatorio. Da noi tutto diventa una cosa calcistica, non puoi credere in niente, non ti puoi appassionare. Siamo cinici. Lì, non c’è il “Libero” di turno che gli pianta una grana il giorno dopo.

Pensi che la politica americana sia più libera?

Non so se sia libera, non credo. Ma è meno legata alla tv. Lì non hanno Porta a porta, che ti costringe a dipendere da quello che dicono di te in televisione. La nostra anomalia vera è che tu devi dire una cosa ogni trenta secondi e rispondere ogni trenta secondi, perché sai che il giorno dopo si parla solo di porcate e cattiverie, in tv e sui giornali. Ci vuole troppo pelo sullo stomaco, io non ce l’avrei.

Ti piace questo slogan che Obama ha usato ieri notte, quello della scrittrice Alice Walker? “Noi siamo quelli che aspettavamo”…

Gli slogan, le frasi da maglietta: io vado matto per le frasi da maglietta. Gli americani hanno questa cosa – molto black – di parlare, di usare le parole: lui ci mette anche qualcosa di poetico. Oggi il discorso, il coinvolgimento attraverso le parole parlate, ha di nuovo un senso, nel tempo dei messaggi televisivi: ha qualcosa di evocativo e antico che diventa di nuovo moderno. Non è più retorico.

(Squilla il telefono, Lorenzo riconosce un complice di passioni e risponde “Yes-we-can! Yes-we-can!”).

Gazzetta dello Sport

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