Sinatreide/2

Il posto si chiamava ancora Palatrussardi e tra il pubblico c’era Bettino Craxi. Ora sono morti tutti: Trussardi, Craxi, e Sinatra. Quella del 27 settembre 1986 fu una serata televisiva memorabile, con la diretta del primo concerto italiano di Frank Sinatra dopo venticinque anni di assenza. Aveva 71 anni e lo videro in otto milioni di telespettatori. Tra cui io, che ho ancora la cassetta TDK registrata con collegamenti di cavi che allora mi sembrarono prodigiosi.

Avevo vent’anni e questo dettaglio personale basterebbe a spiegare la grandezza di Sinatra: nessun altro settantenne con un repertorio risalente ad almeno un quarto di secolo prima sarebbe stato in grado di appassionarmi, a vent’anni. Ascoltavo i Simple Minds e la house music, nel 1986. E Sinatra. Canticchiavo “Cheek to cheek” come l’avevo sentita da lui (incastrando “right up to!” prima di “heaven!”), imitavo il suo modo di ripetere le effe in “I get a kick out of you”, mi compiacevo del modo in cui in “Softly as I leave you” sembrava dire “I will leave you, Sofri”. E poi quell’idea fantastica e molto Sinatra (un anticipo di “My way”) di scriversi una lettera d’amore da solo:

“Mi scriverò delle cose così dolci che ci resterò di stucco, e un sacco di baci in fondo: come sarò contento di riceverla!” .

Per non parlare di “Volami sulla luna e lascia che giochi tra le stelle”, una delle migliori canzoni da doccia di tutti i tempi. Dovrebbero insegnarlo nelle scuole, Sinatra. È morto esattamente dieci anni fa, il 14 maggio 1998. Era figlio di un pompiere siciliano e di una levatrice ligure. Speriamo che la Rai rimandi quel concerto.

Vanity Fair

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