Weeklypedia (dove si parla di Finali del baseball, Robert Kennedy, Girl Talk, Abercrombie & Fitch, Burzum)

La stagione 2008 della Major League americana di baseball è iniziata il 25 marzo 2008 a Tokyo con i campioni in carica dei Boston Red Sox che hanno battuto gli Oakland Athletics per 6 a 5 (in dieci innings), e finirà il 28 settembre. Il percorso verso le World Series comincerà il primo ottobre con le League Division Series, seguite dalle League Championship Series l’11 ottobre, e le “Classiche d’autunno” a partire dal 22 ottobre. Se le World Series raggiungono la settima partita, la stagione (salvo rinvii per maltempo) finirà il 30 ottobre.

Mi sono sempre chiesto chi in Italia abbia coniato l’espressione “le finali del baseball” a traduzione delle World Series. Secondo me qualcuno nel cinema: nei film americani doppiati dicono sempre così, “le finali del baseball” ed è una bella e sonora espressione. Gli americani le chiamano World Series perché in campionato non si gioca su una sola partita per volta ma su una “serie” consecutiva di sfide che dura alcuni giorni (anche perché le trasferte sono notevoli); e perché pensano – con un po’ di ragione – che il baseball nel resto del mondo non esista, e quindi le finali sono le “Serie Mondiali”. Sono andato a vedere la voce sul campionato di quest’anno – iniziato per ragioni pubblicitarie in Giappone, dove ha una grande popolarità – per vedere a che distanza finirà dalle elezioni del 4 novembre, e quanto saranno ravvicinati due dei tre eventi più importanti dell’anno laggiù (l’altro è il Superbowl, la finale del football, a febbraio). Per tradizione le finali del baseball si concludono a ottobre: l’unica eccezione fu il 2001, quando l’attacco alle torri gemelle fece rimandare gli incontri ancora da giocare. Le finali tra i New York Yankees e gli Arizona Diamondbacks cominciarono il 27 ottobre e andarono avanti fino al 4 novembre: non era mai successo, e passata la mezzanotte del 31 ottobre Derek Jeter degli Yankees fece un fuoricampo che gli valse in eterno il soprannome di “Mr. November”. Poi però New York, non fosse bastato, perse le finali.

Burzum è un gruppo black metal/dark ambient norvegese, in particolare una one man band, avendo come unico membro fisso e fondatore Varg Vikernes, personaggio di spicco del black metal.

Sull’ultimo numero di Believer – la rivista dello scrittore ex-prodigio Dave Eggers – c’è un’accurata analisi della storia del death metal, del black metal, e delle differenze tra i due generi musicali (musicali diciamo). Ma la parte più affascinante dell’articolo è quella in cui l’autore racconta il suo incontro a Oslo con Snorre Ruch, musicista che fu compartecipe di una tremenda storia di sangue e rock quindici anni fa. Allora accompagnò il collega Varg Vikernes dei Burzum ad uccidere a coltellate (ventitré) il chitarrista Øystein “Euronymous” Aarseth. La storia include roghi di chiese, satanismi, filo nazismi, e tutto il repertorio dei luoghi comuni sulla musica del diavolo. Vikernes è ancora in galera a Tromsø. Ha fatto altri dischi da detenuto, e una volta è fuggito da un permesso: ma lo hanno beccato con la macchina piena di armi, e rimesso dentro con maggior convinzione.

Robert Francis Kennedy – chiamato Bob o, affettuosamente, Bobby – (Brookline, Massachussets, 20 novembre 1925 – Los Angeles, 6 giugno 1968) è stato un politico statunitense, figlio di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald e fratello di John Fitzgerald Kennedy.
Laureatosi ad Harvard nel 1948, dopo una breve esperienza nella Marina, si specializzò in legge nel 1952 alla guida della campagna per l’elezione a senatore del fratello. Bob Kennedy si sposò presto ed ebbe, dalla moglie Ethel, ben undici figli, l’ultima dei quali nascerà dopo la sua morte. Dopo essere stato fra il 1950 e il 1954 il vice di Joe McCarthy alla guida della Commissione per le attività antiamericane, ovvero la commissione specializzata nell’anticomunismo, e nel Comitato Antirackets nel 1956, nel 1959 decise di dedicarsi alla campagna presidenziale di John.
Dopo l’elezione del fratello (1960) ne divenne ministro della Giustizia durante tutta la presidenza1961 – 1963). Svolse il ruolo di consigliere nella crisi dei missili cubani. Dopo l’assassinio di JFK lasciò il governo per candidarsi al Senato (1964). In questo periodo si avvicinò al movimento per i diritti civili di Martin Luther King, che aveva avuto buoni rapporti con John.
RFK, così veniva anche chiamato, fu un oppositore della guerra in Vietnam e convinto sostenitore dei diritti civili, nel 1964 venne eletto al Senato e nel 1968 annunciò la propria candidatura alla presidenza degli Stati Uniti d’America come candidato del Partito Democratico, in aperta contrapposizione con la politica del presidente uscente Lyndon Baines Johnson, del suo stesso partito, ritenuto l’artefice dell’escalation della guerra in Vietnam.

Quest’anno si è riparlato molto di Robert Kennedy, che prima lo citava solo Veltroni e tutti dicevano “ah, il fratello di John”. Perché era il quarantennale del suo assassinio, perché è uscito il film di Emilio Estevez (ah, il fratello di Charlie Sheen, e figlio di Martin), e soprattutto perché tutti predicono a Obama la fine di Robert Kennedy (se è fortunato, dopo novembre gli annunceranno quella di John): con talmente tanta eccitazione che la settimana scorsa al Corriere della Sera è partito un colpo e ha aperto la prima pagina con un progetto per un attentato a Obama che in realtà era una conversazione tra tossici strafatti che nemmeno sono stati incriminati.
Robert Kennedy morì in cucina, come si sa. Nelle cucine dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, che stava attraversando per lasciare il luogo di un suo affollatissimo discorso e raggiungere un’improvvisata conferenza stampa. Aveva appena vinto le primarie della California, decisive per battere McCarthy e vedersela alla Convention di Chicago con Humprey (sarebbe stata la famosa convention degli scontri tra polizia e contestatori sessantottini, e del processo ai “Chicago seven”). Su YouTube si trovano moltissimi materiali originali su quel discorso e sui momenti successivi: ma malgrado il piccolo corteo di giornalisti e fotografi intorno a lui, esistono solo immagini immediatamente seguenti gli spari. Mentre stringeva le mani al personale della cucina lo uccisero i colpi di Sirhan Sirhan, allora un ventiquattrenne di origine palestinese, le cui motivazioni non sono mai state chiarite (quella convenzionale riguarda il filoisraelismo di Kennedy, ma c’è anche qui un mondo di “punti oscuri”), e che sta ancora scontando l’ergastolo in una prigione californiana. Robert Kennedy morì in ospedale il giorno dopo, a quarantadue anni.
Un giorno, la settimana scorsa, ho trovato sul banco di una libreria il libro di Paul Fusco che si chiama “Paul Fusco RFK”. La storia è stata molto raccontata i mesi scorsi, soprattutto in un lungo articolo di Mario Calabresi su Repubblica. Fusco è un fotografo che fu mandato sul treno che portava la bara di Robert Kennedy da New York – dove si tenne il funerale, nella cattedrale di Saint Patrick, due giorni dopo la sua morte – a Washington, dove sarebbe stato seppellito vicino a suo fratello John. Il viaggio del treno fu lento e durò una giornata, e fu seguito da migliaia di persone che si avvicinarono ai binari per tutto il tragitto per salutare la bara. Fusco le fotografò, e il servizio è pazzesco. Ma non lo usò nessuno fino a dieci anni fa, quando alcune di quelle foto uscirono in un volume intitolato “RFK Funeral Train”. Lo scorso mese, un nuovo gruppo di foto tratte da quella giornata e ritrovate di recente è stato pubblicato in un secondo volume, quello che mi sono messo a guardare in quella libreria.
Tutto questo per dire che non dovreste fermarvi a leggere questo racconto o gli altri su quelle foto, come avevo colpevolmente fatto io. Stavo in quella libreria, e sfogliavo gli scatti di Fusco, e avevo i brividi. Su Amazon sta a trentuno dollari e mezzo.

Girl Talk è il nome d’arte del musicista Gregg Gillis (26 ottobre 1981). Gillis, che vive a Pittsburgh, Pennsylvania, ha pubblicato quattro dischi per la casa discografica Illegal Art. Ha iniziato a fare musica mentre studiava Ingegneria Biomedica alla Case Western Reserve University. È specializzato in remix e “mash-up”, in cui usa spesso campionamenti non autorizzati da diverse canzoni per crearne una nuova. Il New York Times ha definito la sua musica “una causa legale dietro l’angolo”. Ai suoi primi spettacoli Gillis si fece notare per l’atteggiamento di scena, spogliandosi quasi completamente nel corso della performance.

Gli appassionati italiani di musica dance e di deejaysmo conoscono Gillis da tempo. Io ho letto di lui su Wired di questo mese, che annunciava il suo nuovo disco – “Feed the animals” – con un grafico che esponeva la successione degli oltre duecento campionamenti usati in quest’occasione. La musica di Girl Talk, ovvero, è una miscela di rap e ritmi elettronici montati assieme a citazioni su citazioni di canzoni precedentemente note: dai Queen a Kanye West ai Procol Harum a Phil Collins a Michael Jackson ai Police. E ancora. L’effetto, se uno è appassionato di canzoni, è formidabile. Un po’ perché l’insieme è ben costruito e ha davvero ritmo, un po’ perché l’evocazione per pochi secondi di madeleines musicali tocca delle corde, e scatena un giochino di riconoscimento. Per associazione, mi è tornato in mente che trent’anni fa, in tutt’altra antica maniera e con risultati diversi, un francese di nome Laurent Voulzy pubblicò un proprio medley di vecchi successi, che andò molto forte: si chiamava “Rockcollection” e ora fa un po’ ridere. Il disco di Girl Talk, un’infinita violazione delle leggi sul diritto d’autore, si può scaricare dal sito della Illegal Records con la stessa formula usata dai Radiohead: lo pagate quello che volete, anche niente. Ma se lo pagate almeno dieci dollari, promettono di mandarvi il disco vero a casa, quando lo faranno.

Abercrombie & Fitch è un marchio americano e una compagnia che vende abbigliamento per giovani. I prodotti mostrano il logo dell’alce e si comprano solo nei negozi A&F – negli Stati Uniti, in Canada e a Londra – o sul sito web. Fondata nel 1892 da David T. Abercrombie, A&F era una società di articoli sportivi e da escursione. Ebbe difficoltà finanziarie alla fine degli anni Sessanta fino a che non venne acquistata da The Limited nel 1988 e riposizionata, sotto il management di Michael S. Jeffrey (tuttora presidente e amministratore delegato), come marchio di “casual luxury”.

L’anno scorso Carlo Rossella dedicò una pagina sulla Stampa al suo spaesamento all’interno del negozio di Abercrombie & Fitch sulla Quinta Strada a New York. Ai suoi tempi era tutta un’altra cosa, ora vedeva solo un’invasione di italiani da film dei Vanzina (uuuh, e Cortina non è più la stessa, cani e porci, signora mia). Il fatto è che per qualche misterioso percorso modaiolo provinciale, Abercrombie & Fitch è diventato in effetti la passione esibita di tutto un mondo di italiani milanesizzati (ignari – alcuni no -dell’immagine gay che da anni accompagna le campagne pubblicitarie e il brand in generale), che per entrarci fanno la fila: letteralmente, che gira intorno all’angolo dell’isolato e ultimamente è ricca anche di spagnoli. I meglio informati si spingono invece downtown, nel negozio meno conosciuto di Water Street. Ma nei mesi scorsi, sui siti di fanatici di queste cose (esistono, già) – e veniamo all’attualità della questione – si è parlato molto dell’apertura di un negozio a Milano (qualche negozio, in giro per l’Italia, vende già cose A&F compratesi autonomamente dagli Stati Uniti). E allora passeremo alla normalizzazione, come già è avvenuto per Brooks Brothers, e gli italiani a New York troveranno altri negozi dove fare la fila.

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