Il giorno più lungo (e il post pure)

Allora, un po’ di spiegazioni e opinioni, ora che sono davanti a una tastiera vera.
Per come la vedo io, la relazione di Veltroni è stata un ottimo discorso dell’anno scorso. Nel senso che si era davvero preparato, e c’erano molte analisi e anche molte proposte su come affrontare la politica a venire. Fossimo stati al Lingotto nel 2007, un ottimo intervento.
Invece eravamo a una riunione di un organo interno del PD, e dopo sei mesi di letargo del partito, e un’accelerazione di disastri delle ultime settimane. Quindi il contesto più estraneo a una relazione di programma e analisi dei contesti mondiali, e il momento più impellente per una riflessione sulle ragioni della crisi del PD e l’esposizione di proposte o cambi di regime per affrontarla.
C’era tutto il tempo per preparare, anche strumentalmente e saggiamente, alcune iniziative e proposte concrete, visibili, immediate, che dessero il segno di un andamento nuovo e più convincente. Ma Veltroni, avendo ottenuto garanzie di una tregua da parte dei suoi critici maggiori, ha preferito lavorare invece su altro.
Comunque, se leggete i giornali di stamattina vedrete espresse le stesse opinioni.
Per queste ragioni, con alcune persone che si erano messe in contatto attraverso l’indirizzario mail della Direzione Nazionale subito dopo la lettera di dimissione di Irene Tinagli (le uniche che le avevano risposto, e che avevano chiesto di parlarne, di fatto), abbiamo deciso di presentare un documento che sintetizzava le cose che ci eravamo detti nei giorni precedenti: conteneva una critica forte a questi otto mesi post-elezioni, e la richiesta di segni concreti e tangibili di un’altra direzione da prendere: tra gli altri, la garanzia che nei contesti previsti finora si continuassero a fare le primarie (vedi casino di Firenze) e l’impegno a non trasformare le liste delle elezioni europee in elenchi di prepensionamento eccellente per stimabili ex, ma piuttosto approfittarne per dare spazio a capacità nuove. I firmatari di questa mozione sono: Mario Adinolfi, Giovanni Bachelet, Olga Bertolino, Cristina Comencini, Pier Giorgio Gawronski, Teresa Marzocchi, Martina Simonini, Luca Sofri. Si sono poi aggiunti Nando Dalla Chiesa e Giulio Santagata.

Poi sono successe un paio di cose. La prima è che dal dibattito sono uscite molte altre pesanti critiche alla conduzione del partito in questo mese, che hanno reso meno isolate e necessarie le nostre. La seconda è che dal tavolo della presidenza ci è stata offerta con molta gentilezza la disponibilità a integrare le richieste della mozione nel documento finale, fatte salve le parti critiche, essendo l’autocritica indigeribile per questo partito (malgrado qualche timidissimo sforzo di Walter Veltroni, ieri). A patto che non chiedessimo più il voto su quella mozione. L’unità finale è un totem carissimo a questa cultura politica: come ha dimostrato anche l’intensità della discussione sulla mozione Follini, piuttosto insignificante, e di cui lui era l’unico votante. Eppure, è andato via tempo e anche passioni nel chiedergli di ritirarla, facendo appello eccetera eccetera.

Noi comunque abbiamo risposto che eravamo disposti a ritirarla una volta constatato che il documento finale accogliesse esplicitamente le sue richieste, in particolare sulle primarie e sulle europee.

Adesso apro una lunga parentesi su queste due questioni.
Io non sono un appassionato sostenitore delle primarie. Penso che in condizioni politiche ideali possa persino non essercene bisogno, anche se una preselezione attraverso le primarie dei candidati uninominali (sindaco, eventuale parlamentare se si tornasse all’uninominale) mi sembra una buona cosa. Ma ci sono due però: il primo è che quelle attuali non sono condizioni politiche ideali, e l’affidabilità dei partiti di centrosinistra nella scelta delle candidature si è rivelata assai ridotta: dando così alle primarie un ruolo maggiore nell’ammortizzare i guai, e alle persone un senso del proprio contare qualcosa e del poter correggere errori e storture di cui c’è una percezione diffusa, diciamo. Il secondo però è che questo partito ha molto dichiarato il suo amore per le primarie fino all’altroieri, e l’ha messo nei suoi programmi e nelle sue regole: non si può ribaltare tutto dall’oggi al domani perché la dirigenza si è accorta di qualche controindicazione.
La questione del rinnovamento è complicata e ne ho scritto molte volte. Proverò a ripetere quel che ho detto ieri sulla sciocchezza e la gratuità di alcune obiezioni che le vengono mosse.
Ieri c’è stato un grande revival dei vecchi tempi, in diversi interventi: punteggiato da critiche e rimpianti sulle primarie e sul nuovo. Non parlo di Veltroni, che invece su questo è stato coerente, nei suoi interventi. Ma è impressionante il tempo che si perde ripetendo mille volte un paio di trucchi dialettici da bambini dell’asilo, e riportando indietro la discussione senza ragione. Uno di questi trucchi è la formula “voglio mettere in guardia dagli eccessi di”. In giro è pieno di gente che “mette in guardia dagli eccessi di”. Mettono in guardia dagli eccessi di rinnovamento, mettono in guardia dagli eccessi della politica del fare, mettono in guardia dagli eccessi di primarie, mettono in guardia dagli eccessi di ricambio generazionale. E naturalmente tutti fanno di sì con la testa, e pensano: “è vero, bisogna stare attenti agli eccessi di”, ma in realtà stanno assimilando l’idea che questi eccessi ci siano.
Perché se ci pensate, è stupido e superfluo “mettere in guardia dagli eccessi di”. Gli eccessi, per definizione, eccedono. Naturalmente nessuno li desidera o li auspica. Non troverete nessuno che dica invece “ci vorrebbero un po’ di eccessi di rinnovamento, e anche parecchi eccessi di primarie”. Quello di cui si parla, ogni volta, è una moderata ed equilibrata misura di questo o quell’intervento. Perché se dobbiamo discutere degli eccessi, siamo tutti d’accordo che forse è meglio evitarli. Solo che questo tipo di richiami servono in realtà a sostenere che ci sono degli eccessi e quindi forse è meglio rivedere tutto e buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Dello stesso genere, generico e strumentale, è l’altro avviso “non può essere una panacea” : il rinnovamento non può essere una panacea, il ricambio non può essere una panacea, le primarie non possono essere una panacea. Come se fossimo tutti qui a dire invece che si fanno le primarie e oplà, il mondo sarà salvato. O che si scelgono dei candidati nuovi e in gamba e a quel punto fanno tutto loro. Invece, ovviamente, niente è una panacea: ma l’espressione serve ad attribuire valutazioni assurde all’interlocutore per poterle facilmente irridere.

Torno quindi al rinnovamento, cercando di non ripetere cose ovvie che ho già detto molte volte. Il rinnovamento non si contrappone al passato: il passato ha molto di buono e di efficace e riutilizzabile. Il rinnovamento si contrappone a parte del presente: quel che si vuole rinnovare è ciò che non funziona del presente, e credo sia difficile sostenere che non ce ne sia. In ultima analisi, rinnovamento significa persino recuperare cose del passato, laddove fossero migliori di certi meccanismi di oggi. Ma non si può sostenere che ci sono molte cose che non vanno, e al tempo stesso opporsi al cambiamento, come fanno alcuni: a meno di non essere in malafede o avere interessi in causa.
E il ricambio generazionale, se superiamo le sciocche discussioni del tenore “conosco molti giovani cretini e molti anziani in gamba”, ha a che fare con due dettagli ineluttabili e indiscutibili da nessuno, legati al tempo che passa: fino a che nessuno sarà capace di sovvertire questo fenomeno, persone più giovani avranno inevitabilmente una sensibilità del presente e una visione del futuro più solide di persone meno giovani. Ma soprattutto, fino a che nessuno sarà capace di sovvertire questo fenomeno, il dovere di un partito sarà anche la costruzione della sua leadership futura ma anche in generale di una classe dirigente preparata e pronta per questo paese. E il PD questo non lo sta facendo: e una ragione per cui oggi persino i dirigenti del PD dicono che ci vuole un ricambio, ma non sono in grado di praticarlo (ammesso che lo vogliano), è che non hanno fatto niente fino a oggi per costruirla, questa nuova generazione di dirigenti. Sarebbe ora di cominciare, promuovendo a responsabilità maggiori i molti giovani (giovani, poi: parliamo di gente che ha trenta e quarant’anni) bravi e capaci che stanno dentro il PD e intorno al PD. E le elezioni europee per molte ragioni sono un’ottima occasione in questo senso, e a molto a buon mercato.

Ok, torniamo al racconto di ieri.
Si arriva, sfiniti, alla presentazione del documento finale da parte di Dario Franceschini (lo trovate qui, in Word, e risparmio commenti su questo, ma è un bel sintomo). Sono tre pagine e passa che trattano la crisi mondiale e i problemi italiani, il ruolo del Pd, il difficle rapporto con la maggioranza, per le prime due. A una pagina è dedicata l’analisi sul PD, costituita da formule come questa:

Il Pd è il grande partito che nasce dalla convergenza delle grandi tradizioni riformiste e democratiche per dare una risposta forte alla crisi della democrazia. La sua affermazione ha determinato un positivo cambiamento del sistema politico italiano che, in quadro di consolidato pluralismo politico e culturale, ha tuttavia rafforzato l’impianto bipolare della nostra democrazia con l’obiettivo di dare maggiore efficienza al necessario equilibrio tra rappresentanza e riduzione della frammentazione. 

Niente suggerisce un cambio di corso, e le proposte per il futuro sono del genere “dopo l’approvazione dello Statuto nazionale e di quelli regionali, il PD promuoverà un’ampia riflessione sul modello di partito”. O “In questo percorso andrà fatto ogni sforzo per aprire i gruppi dirigenti anche a tutte quelle persone che hanno creduto e credono nel progetto politico del PD e che possono integrare le competenze e la presenza di quanti provengono da uno dei partiti promotori”.
Sulle primarie sta tutto qui: “rapporto tra valorizzazione delle primarie e responsabilità della direzione politica”.
Sulle candidature alle europee sta tutto qui: “sostenere una modifica della legge elettorale europea che introduca una soglia di sbarramento ma che mantenga le preferenze”.
Allora, non discuto i rituali e i gerghi politici, e rispetto la soddisfazione del gruppo dirigente per questo documento “unitario”. Ma semplicemente non è quello che io e altri chiedevamo, non è una garanzia di tempi migliori, ma non è nemmeno un sospetto di tempi migliori.
Lo dico bruscamente: l’unica novità è la richiesta di poter commissariare degli organi. Tutto il resto poteva essere detto e fatto già da aprile. Ne consegue che questa segreteria ritiene che i soli problemi del PD in questo mese si debbano al non aver potuto commissariare. Altrimenti perché dovrebbero essere credibili oggi propositi che le stesse persone non hanno attuato ieri, nè l’altroieri?
Insomma, con molto disagio – perché creare tensioni e risentimenti è sempre sgradevole, e perché eravamo tutti stanchi – noi chiediamo che a questo punto si voti anche la nostra mozione, non in dissenso ma a complemento di quella della segreteria. Dario Franceschini – stanco anche lui – ne è molto infastidito e obietta che non può accettare di votare una cosa critica contro se stesso, e che sicuramente la mozione perderà. Noi gli diciamo, con tutta la serenità che solo un grande sfinimento può dare, che non abbiamo mai pensato – conoscendo i meccanismi di queste cose – di mettere in minoranza nessuno, che ci interessava dire queste cose e condividerle, e che lui e chiunque altro possono votare contro e noi ci prendiamo i nostri quattro voti. Nel frattempo si accavalla la questione Follini, che vuole inserire nel documento un rinnegamento in eterno di ogni alleanza con Di Pietro: cosa un po’ assurda, anche condividendo il concetto.

A questo punto intervengono un’ingenuità e un’esperienza. L’ingenuità è la nostra, che abbiamo affidato la condivisione della mozione solo alla lettura da parte di Bachelet e a poche copie che avevamo stampato. Ma Bachelet ha parlato in un momento di stanca e disordine e non l’hanno ascoltato in molti. E insomma, malgrado io abbia cercato di risintetizzarne il contenuto quando ho chiesto il voto, gran parte delle persone in sala ora non sa di cosa si stia parlando.
L’esperienza è quella di Franceschini, che per chiudere tutto e andate a quel paese, chiama improvvisamente il voto su tutto con una rapidità da uomo di mondo: favorevoli, contrari, astenuti, favorevoli, contrari, astenuti. Faccio appena in tempo a vedere le braccia alzarsi che già si devono riabbassare. Quindi vado a a occhio e croce: la mozione Follini ottiene solo il suo voto, qualche astenuto (tra cui io, che trovo assurdo persino votare contro), e una montagna di contrari (a questo punto ci saranno circa centoventi persone). La nostra mozione – che ha perso alcuni firmatari andati via per prendere treni in tempo – ottiene direi una quindicina di voti, forse qualcuno in più; una trentina di astenuti, e il resto contrari. La mozione della segreteria non lo so: credo che abbia votato contro Follini (e Gawronski), una decina di astenuti (tra cui io, che non me la sento di votare una cosa equilibrata ma oggi inaffidabile), e un sacco di favorevoli.

A completamento: l’aereo ha tardato e sono arrivato a casa a mezzanotte. Ho scaldato la cena nel microonde e mentre la mangiavo da solo si è svegliata la bambina che ha voluto compagnia fino alle due. Lei è una grande fan di Veltroni perché una volta hanno fatto conversazione sui rispettivi buchi nei calzini. Insomma, le cose sono complicate.

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