Insomma, dopodomani è stata convocata l’Assemblea Nazionale del PD. Un organismo disomogeneo di oltre duemila persone delle quali solo un quinto partecipò all’ultima riunione, l’estate scorsa. Ovvero il contesto meno congruo alla creazione di proposte e alternative. Quelli che andranno saranno divisi tra pochi rimasti fedeli alla linea e parecchi incazzati che non troveranno i canali per fare cose costruttive.
Questo è chiaro a chi ha pensato a questa soluzione piuttosto che a una Direzione Nazionale, in cui il dissenso avrebbe potuto essere più visibile, per quanto minoritario (gli interessi dei singoli diventano sempre unanimità, nei momenti rischiosi di questo partito: ricordatevi che solo due mesi fa c’è stata la quasi unanime approvazione di una mozione che doveva essere il progetto a venire, sbricolato poi in un batter d’occhio).
La soluzione Franceschini mette pavidamente d’accordo tutti quelli che trafficano intorno alla dirigenza del PD. I popolari hanno uno dei loro, e gli va bene, e uno che non temono troppo nelle rivalità interne: a quelli ambiziosi resta la chance di fargli le scarpe. I dalemiani e Bersani che mai avrebbero avuto il fegato di rivendicare una responsabilità e un ruolo forte (come non lo fecero alle primarie) sono contenti di stare alla larga, salvo cominciare a piantare grane già domenica mattina. Molti veltroniani sono spaesati e incapaci di produrre un’alternativa a cui accodarsi, e non se la sentono di farsi avanti in proprio. Intanto fanno già i conti di quali posti possono ottenere nella nuova segreteria.
Qualcuno annuncia che ci vuole il cambiamento e intanto si appresta a votare una soluzione di continuità e prerestaurazione.
Nessuno col coraggio di farsi avanti o proporre una segreteria alternativa: perdere terrorizza.
In Inghilterra stavano messi meno peggio di noi, quando sbaraccarono tutto e affidarono il partito a uno nuovo. Ora è favorito per le prossime elezioni.