Privato del pubblico

Marco Lillo spiega sull’Espresso che i magistrati avrebbero prosciolto Saccà in nome del fatto che in quella fase telefonica della sua attività non stava facendo “servizio pubblico”

Se la Rai con i suoi sceneggiati facesse servizio pubblico, Saccà sarebbe un incaricato di pubblico servizio soggetto (in caso) ai reati di corruzione e concussione. Per questa ragione i pm per prosciogliere Berlusconi e Saccà sono costretti a “degradare” la sua attività culturale. Per i pm romani solo la fase della trasmissione rientra nel servizio pubblico, non quella della produzione dei contenuti. Saccà quindi è un semplice manager “privato”. Alle sue eventuali malefatte si applicano le blande norme riservate ai dirigenti di Mediaset, non quelle rigide che disciplinano l’attività dei capi dei ministeri dell’Anas o dell’Enel. Saccà, dicono i pm, può fare quello che vuole quando sceglie le attrici pagate con il canone degli italiani. Può privilegiare le protette del Cavaliere e sacrificare quelle considerate dagli altri più brave. Non c’è nessun problema. In fondo nessun pm contesterebbe un simile comportamento a Piersilvio Berlusconi e ora, se la giurisprudenza elaborata a Roma prenderà piede, nessuno potrà contestarlo non solo a Saccà ma anche a Fabrizio Del Noce (Rai uno) o Giancarlo Leone (Rai cinema) e così via. Per tenere fuori Berlusconi e Saccà dal ginepraio nel quale si erano cacciati con le loro incaute conversazioni, la Procura di Roma ha fatto davvero i salti mortali. Le cinque paginette dell’archiviazione prontamente distribuite ai cronisti (dovrebbero essere segrete, ma evidentemente a Roma il segreto non tutela le indagini bensì gli indagati eccellenti) cancellano le massime della Cassazione e numerosi pronunciamenti di altri magistrati.

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