Trent’anni col bavaglio, e non ce ne siamo accorti

Del merito dico solo poche cose velocemente, poi chi vuole si può informare: l’emendamento presentato dal deputato Costa sulla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare non impedisce a nessun giornalista di “fare il suo lavoro”, anzi impone ai giornalisti di fare il loro lavoro, che è quello di spiegare, selezionare, contestualizzare e fare capire le cose, invece che limitarsi a riprodurre elenchi copincollati di estratti equivoci ed equivocabili (spesso strumentalmente). E persino di verificarle, le cose, invece che farsi da tramite incompetente e trasparente di quelle che sostiene l’accusa, parte in causa. E qui aggiungo una seconda cosa, che sfugge a molti (per via del fatto che siamo un paese che nega la presunzione di innocenza, e pensa sempre in termini di presunzione di colpevolezza): le ordinanze di custodia cautelare non contengono “prove”. Riportano quelle che un pubblico ministero sostiene siano delle prove, e che in un grande numero di casi si riveleranno non esserlo, e non porteranno a nessun processo o a nessuna condanna. Ma oggi diventano comunque pubbliche: informazioni riservate e personali su ciascuno di noi, comprese conversazioni private e intercettazioni, che in molti casi suggeriscono a chi legge colpevolezze che non esistono, o giudizi morali su fatti privati e non perseguibili.

Attenzione: tutte queste cose vengono estesamente usate nelle indagini e nei processi, nessuno si avventuri a sostenere che la mancata pubblicazione degli originali sia un limite per lo svolgimento della “giustizia”. La giustizia non c’entra niente, qui si parla di quello che tutti devono o non devono sapere di un’indagine nelle sue fasi iniziali. La proposta dell’emendamento è – se avrà seguito – un eventuale elemento di costruzione di equilibrio tra la privacy di chi è accusato e l’informazione pubblica, equilibrio che al momento non esiste: come sa chiunque sia abituato a criticare poi l’eccessiva “mediatizzazione” di certe indagini e processi, che poi condiziona le stesse indagini e processi. Non è un caso se molti documenti giudiziari hanno regole di segretezza, che condividiamo: significa che siamo d’accordo che non tutto debba essere pubblicato e divulgato, per il bene delle inchieste stesse e di tutti. E che quello che riteniamo non debba esserlo non costituisce nessun “bavaglio”, ma appunto concorra a questo equilibrio.

Adesso invece la cosa che volevo dire, che continua a essere occultata in malafede da molti contestatori dell’emendamento (chiarisco: io non ne sono un sostenitore convinto, dell’emendamento; sono un sostenitore del fatto che i suoi critici stiano raccontando alle persone che seguono poco un sacco di balle).
Il testo dell’emendamento è questo, il neretto è mio per evidenziare la sostanza in mezzo al legalese e alle giustificazioni:

  1. Al fine di garantire l’integrale e compiuto adeguamento alla direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, anche al fine di integrare quanto disposto dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188 nonché di assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27 comma secondo della Costituzione, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche il seguente princìpio e criterio direttivi specifico: modificare l’articolo 114 del codice di procedura penale prevedendo, nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e in attuazione dei princìpi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016.

L’articolo 114 del codice di procedura penale dice questo, al comma 2 che sarebbe quello interessato dalla modifica:

2. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292.

L’articolo 292 è quello che definisce cosa sia l’ordinanza di custodia cautelare. Quindi, seguitemi, l’articolo 114 oggi dice che non si possono pubblicare gli atti fino al termine dell’udienza preliminare, salvo l’ordinanza di custodia cautelare che si può pubblicare anche prima. L’emendamento Costa propone che anche l’ordinanza di custodia cautelare si possa pubblicare solo dopo l’udienza preliminare, alla fine delle indagini e all’inizio dell’eventuale fase processuale.

Adesso, il fatto è che quest’ultima condizione proposta è esattamente quella che è esistita in Italia fino a sei anni fa: dall’inizio del 2018 infatti fu già modificato l’articolo 114, come segue.

1. Al codice di procedura penale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, sono apportate le seguenti modificazioni:
[…]
b) all’articolo 114, comma 2, dopo le parole: «dell’udienza preliminare», sono aggiunte le seguenti: «, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292»;

Come vedete, quello che propone oggi l’emendamento discusso, è di fatto che il governo decida l’annullamento di questa aggiunta di sette parole avvenuta sei anni fa da parte di un altro governo, e il ritorno all’articolo del Codice di procedura penale come era stato fino ad allora, approvato nel 1988 con decreto del Presidente della Repubblica.

E allora io domando (ripeto, non avendo opinioni certe se questo emendamento sia la soluzione migliore verso l’equilibrio esposto sopra): se sono vere tutte le apocalissi e le catastrofi per l’informazione, e per il giornalismo, e per i cittadini, raccontate in questi giorni da alcuni giornali e da alcuni giornalisti, da alcuni sindacati di giornalisti e da parecchi che probabilmente non hanno nemmeno letto i documenti, in quelle apocalissi e catastrofi e bavagli e azzeramento del diritto dei cittadini a essere informati, ci abbiamo vissuto per trent’anni fino al 2018? Senza che nessuno ci avvisasse? Senza che nessuno promuovesse battaglie e campagne? Senza che nessuno attribuisse nomignoli all’articolo 114? Senza che nessuno protestasse alle conferenze stampa dei presidenti del Consiglio? Senza che i giornalisti dovessero abbandonare il mestiere? Senza che nessuno nel 1988 chiedesse al Presidente della Repubblica di opporsi al nuovo Codice, che metteva il bavaglio all’informazione?

La risposta è che o ci siamo distratti dalla fine del mondo, o più probabilmente le motivazioni delle campagne di oggi – che questo dettaglio lo tacciono – sono meno nobili e più interessate e demagogiche di quanto sostengono.

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