Le cose, cambiano

Ho vecchie questioni e discussioni in corso sulla natura delle regole e la loro funzione. Io tendo a definire la validità e l’importanza delle regole in base alle loro ragioni d’essere, piuttosto che al loro esistere in quanto regole. Per capirsi con un esempio banale, mettersi la cintura in macchina mi pare una cosa buona perché evita di ammazzarsi, e non perché condividiamo una norma che dice che va fatto. Mentre spesso ci sono regole che hanno perso (o non hanno mai avuto) una relazione con delle ragioni concrete e sensate, e tendiamo a imporle più per abitudine o rigidità che per qualche sensatezza. O per un’astratta e rigida idea di “normalità”. Oppure capita che la varietà di casi e contesti renda utili delle regole che però possono diventare inutili in situazioni differenti.
(Non è un discorso tanto lontano da quello che ho fatto altre volte sui simboli e sulla loro relazione con le cose concrete).

Tutto questo per dire che sto apprezzando molto il ragionamento (e anche il modo di scriverlo, che è molto divertente) che il linguista Andrea De Benedetti fa nel suo libro “Val più la pratica“, dedicato agli intransigenti e ai giustizialisti della lingua, vestali di un rigore che immobilizzerebbe qualunque cambiamento:

“In realtà la grammatica spiega molto ma non tutto (…) I linguisti se ne sono fatti una ragione e lavorano con impegno per rendere meno imperfette le loro teorie e le loro descrizioni; sono le persone comuni a non rassegnarsi e a invocare l’intervento di qualcuno o qualcosa che metta le ganasce a chi si ostina a oltraggiare la lingua. Questo libro, in cui si cerca di ridefinire il concetto di errore, di aggiornare la nomenclatura e la dottrina grammaticale più obsolete, e soprattutto di riabilitare, attraverso gli esempi, alcune presunte devianze dalla norma, è diretto soprattutto a loro. Nella speranza che imparino a prendere meno sul serio la grammatica, e soprattutto sé stessi” (si noti l’accento, ndb)

Perché in effetti la puntigliosità linguistica, quella che se fosse stata applicata sempre staremmo ancora parlando in latino, è un fenomeno ormai notevolissimo in proprio, che supera la questione generale delle regole di cui parlavo. E ha a che fare – dico sul serio – con una questione centrale nell’evoluzione delle nostre culture e del funzionamento delle nostre società: ovvero la rincorsa continua all’affermazione di sé attraverso una propria esibizione di competenza e “diversità” (che sconfina nel disastro morettiano sulla minoranza: che ci ha reso una maggioranza di fiere minoranze). Che questa si manifesti attraverso uno spazio in un reality o la vittoriosa matita rossa applicata al vicino di pianerottolo, fa poca differenza. Perché sono facili, non richiedono esercizio o applicazione, e parlano di noi. Ci facciamo riconoscere. A scapito della lingua stessa.

Il punto è che la grammatica scientifica non si preoccupa tanto di prescrivere quanto di descrivere, analizza cioè come i parlanti si comportano nei fatti, non come dovrebbero comportarsi. Ne consegue che il compito del linguista non è quello di irregimentare la lingua ma solo di capire come funziona e di darne una rappresentazione.

Se le regole della lingua avessero un’implicita validità, ne esisterebbe una sola, no?

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2 commenti su “Le cose, cambiano

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