Aggiungere dieci

Oggi Gino Castaldo scrive questa cosa a proposito di X Factor, su Repubblica.

Il nostro è un paese per vecchi? O, meglio, è il nostro un paese per giovani che sono più vecchi dei veri vecchi? A giudicare dal televoto, si direbbe proprio di sì. Si dirà che chi vota per Sanremo, X-Factor o Amici, è già in qualche modo predisposto a premiare modelli poco innovativi. Vero, ma lo strano sentore di un mondo ribaltato dove i giovani sono più conservatori dei meno giovani rimane. La maggioranza silenziosa, maggioranza cellularizzata e votante dei giovani, vuole ovvietà, rassicurazioni, stereotipi. Guai a essere originali, a disturbare la prevedibile quiete del gusto imperante. Inevitabile? Forse no, forse è solo il segno di un pensiero unico che ormai condiziona le nostre vite, vecchie o giovani che siano.

La riprendo, perché è complementare di un pensiero di cui abbiamo parlato spesso in questi anni. Ovvero che lo spostamento in avanti di tutto, nelle generazioni contemporanee, abbia spostato in avanti e ritardato non solo molti tratti della maturità e dell’età adulta (andare a vivere da soli, occuparsi della propria vita, metter su famiglia, eccetera) ma anche molti tratti della curiosità, della creatività e dell’anticonformismo giovanile. Per questo oggi avviene che continuiamo a definire “giovani” persone che hanno trenta e quarant’anni: perché quella categoria sociale e culturale  dei “giovani” (“ggiovani”) è rappresentata da loro, malgrado l’età. Non dai teenagers e dai ventenni di cui Castaldo lamenta il ritardo: che sono conservatori come i bambini, non come i vecchi. (Stiamo generalizzando, certo. Non parlo di te).
Qualche anno fa scrissi un progetto che a un certo punto sosteneva questo:

Un vecchio cliché solo in parte fondato vede nei teenagers e nei ventenni un target pubblicitario rilevante, e un investimento sul futuro delle cose. Il cliché è assai superato e sovvertito dallo slittamento in avanti dell’età delle responsabilità, del potere, e del ruolo attivo nella società. I ventenni di oggi non sono l’Italia di domani, ma quella di dopodomani, se va bene. Non avranno potere decisionale, d’acquisto e di rinnovamento per almeno altri vent’anni. Ci sono quindi considerazioni notevoli che riguardano la cospicua fascia di persone prese in mezzo tra queste due: quelli tra i 25 e i 45.

E nel pezzo sul primo numero di Wired:

Non hanno tutti la stessa età, ma a occhio hanno più di vent’anni e meno di cinquanta, “ibridi”: si ricordano del mondo di prima abbastanza per capire e godere il mondo di dopo. (…) Non si riconoscono nella programmazione da pensionati della gran parte delle reti generaliste ma nemmeno in quella da tiratardi-nei-centri-commerciali dei palinsesti giovanilisti.

Forse a un certo punto dovremo ribaltare il fastidio che abbiamo per la definizione di “giovani” applicata ai trenta-quarantenni. Perché di fatto, bene o male che sia, i giovani di questo mondo sono loro.

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Un commento su “Aggiungere dieci

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