La luna nel forno – La storia del progetto McMoon

“Nello spazio nessuno può sentirti urlare”. Non c’è atmosfera, e il suono non si propaga. Nemmeno sulla luna. Lo schianto contro la superficie lunare di quei cinque accrocchi grandi come un chiosco dei gelati avvenne nel silenzio. Di loro non restarono che i racconti.

Immagine 7Questa storia era cominciata prima. Il primo Lunar Orbiter fu lanciato nello spazio il 10 agosto 1966. A bordo non c’era nessuno. La sua missione era di fotografare la superficie lunare in preparazione dello sbarco dell’Apollo 11, che sarebbe avvenuto tre anni dopo. Allo stesso scopo, altri quattro apparecchi simili furono inviati intorno alla luna nei mesi successivi. Gli ultimi due viaggi furono dedicati alla mappatura fotografica completa di tutta la superficie lunare, lato visibile e lato oscuro. All’esterno di un corpo centrale che ospitava tra l’altro le apparecchiature fotografiche, si allungavano intorno al Lunar Orbiter quattro “zampe” che non si sarebbero mai poggiate da nessuna parte: i quattro pannelli solari che alimentavano la propulsione e le batterie.

Le cinque missioni furono un successo. Restituirono a terra 2180 foto ad alta risoluzione e 882 a media risoluzione. “Alta” significa davvero alta: permettevano di individuare formazioni fino a una dimensione di un metro. Ci fosse stato un extraterrestre, lo si sarebbe visto. Quelle immagini non solo si resero utilissime per le successive spedizioni umane verso la luna, ma furono uno scoop popolare clamoroso. Autentici paparazzi spaziali, i Lunar Orbiter offrirono ai giornali di tutto il mondo “la terra e la luna come non le avete mai viste”. Una di quelle immagini – che mostrava con impressionanti concretezza e dettagli i rilievi del cratere Copernico – fu ribattezzata da Life “la foto del secolo”. Ancora più spettacolare e rivelatrice fu la prima foto della terra sullo sfondo della superficie lunare. Non si era mai vista.
I Lunar Orbiter  ospitavano degli apparecchi Kodak che impressionavano una pellicola da 70 mm. Il sistema era molto complesso: la pellicola veniva letta da uno scanner e i dati analogici trasmessi via radio a terra (li ricevevano tre stazioni diverse) e registrati su un nastro magnetico. Per ottenere l’immagine finale erano poi necessari successivi passaggi su diversi supporti e la ricomposizione di più parti separate. Per questo, benché apparissero straordinarie, le immagini furono stampate e mostrate allora in una qualità di molto inferiore a quella registrata: come la fotocopia della fotocopia della fotocopia di una foto.

Ciascuno dei cinque Lunar Orbiter, completata la sua missione, fu mandato a schiantarsi sulla superficie della luna, per impedire che le successive missioni potessero essere danneggiate dal loro rimanere in circolazione nell’orbita lunare. Non fecero nessun rumore.

Altrettanto silenziosamente, l’archivio di fotografie scattate dai Lunar Orbiter sparì rapidamente dall’attenzione generale. La prima missione umana intorno alla luna, nel 1968, e lo sbarco dell’anno successivo rubarono la scena e fecero diventare superate quelle spoglie immagini agli occhi del mondo: malgrado parte del merito di quell’allunaggio si dovesse proprio all’indagine fotografica compiuta dai Lunar Orbiter. E la NASA stessa, completamente impegnata nella vittoriosa battaglia spaziale contro i sovietici, fece immagazzinare in un deposito del Maryland le centinaia di nastri che le contenevano (uno si immagina una scena come quella che conclude I predatori dell’arca perduta) e se ne dimenticò.

“Incredibilmente, tutte le immagini registrate sui 1500 nastri da 14 pollici rischiarono di andare distrutte. Concentrata sulle missioni Apollo, la NASA non le ritenne di alcun ulteriore uso. Per fortuna Nancy Evans, cofondatrice del Sistema Dati Planetari della NASA, convinse i suoi superiori al Jet Propulsion Laboratory che i nastri andavano conservati”.
(dal discorso in onore del Lunar Orbiter Image Recovery Project tenuto dalla deputata Zoe Lofgren il 27 aprile 2009)

Nancy Evans era arrivata a lavorare al Jet Propulsion Laboratory nel 1973, a 35 anni. Il JPL è una struttura di ricerca spaziale gestita dalla NASA e dal California Institute of Technology (CalTech). Le qualità di Nancy avevano suggerito ai suoi superiori di destinarla agli archivi della NASA, e di questo si stava occupando quando a metà degli anni Ottanta fu informata di alcune pile di nastri che andavano smaltite per liberare degli spazi.

“Cosa pensavate di farne?”, chiese lei.
“Di solito li buttiamo”.

I nastri erano impilati sopra dei bancali di legno. Duemilacinquecento nastri. Nancy Evans ricostruì di cosa si trattava e ordinò che non fossero eliminati. Non lo sapeva ancora, ma aveva appena adottato un bambino, di cui si sarebbe dovuta occupare a lungo. Duemilacinquecento bambini.

I nastri Memorex potevano essere letti soltanto dai relativi lettori a bobine Ampex FR-900: solo così si sarebbero potute ottenere le immagini scattate dai Lunar Orbiter. Erano dei cassoni grandi quanto un grosso frigorifero e pesanti quasi mezza tonnellata: ne era stata prodotta qualche decina per usi militari, ed erano ormai introvabili. Nancy Evans ottenne dai suoi superiori di poter trasferire i nastri al JPL, ma nessuna assistenza e finanziamento sul suo progetto di recupero delle immagini lunari. Allora fece circolare una richiesta in tutte le istituzioni governative per avere informazioni su eventuali Ampex FR-900 rimossi.
Ricevette una risposta qualche anno dopo dalla base aerea di Eglin in Florida. Avevano tre di quei mostri ed erano pronti a consegnarglieli. Due lettori e un registratore a bobine che sembravano parenti di HAL 9000 (con le bobine disposte una sopra l’altra). Un quarto registratore arrivò poi da un’altra base nell’Ohio. Nessuno dei quattro funzionava: una stima della NASA sancì che sarebbero serviti sei milioni di dollari per ripararli. Nancy Evans e Mark Nelson, un tecnico di CalTech che aveva lavorato all’archiviazione di immagini della NASA, passarono gli anni successivi a cercare i fondi necessari: Nelson riuscì anche a inziare una digitalizzazione dei dati, ma poi l’impresa divenne troppo costosa. Quando Nancy decide di lasciare il lavoro e cominciarne uno nuovo come veterinaria, il JPL chiede che gli Ampex siano rimossi. Nelson riesce a parcheggiarli per qualche tempo nel magazzino di un amico, ma alla fine vanno tolti anche da lì. Dove metterli?

Nel garage della dottoressa Evans, nel frattempo divenuta veterinaria: dove per altri dieci anni si ricoprirono di polvere tra scatoloni, vecchi elettrodomestici, materassi avanzati e galline del vicino pollaio.

Ci volle internet perché il principe azzurro arrivasse a risvegliare gli Ampex dal loro sonno e a separarli dalle galline. Come principe azzurro, Dennis Wingo, è in effetti esteticamente anomalo: 49 anni, una via di mezzo tra Bufalo Bill e Doc di Ritorno al futuro, una vita dedicata alla sviluppo di tecnologie spaziali e al lancio di viaggi privati nello spazio. Nel 2006 Wingo legge su un blog un appello diffuso da Nancy Evans un anno prima in occasione di un convegno sull’esplorazione lunare e capisce immediatamente di cosa si parli (nell’appello non lo dice, ma Nancy rivorrebbe il suo garage). Wingo chiama il suo amico Keith Cowing – una carriera alla NASA e ora studioso in proprio – e i due cominciano a progettare l’impresa che prenderà il nome di LOIRP: Lunar Orbiter Image Recovery Project. Per gli amici MacMoon, ma non siamo ancora a quel punto della storia.

Una sera di aprile del 2007 Wingo e Cowing si presentano con due camion Budget affittati a casa di Nancy Evans e caricano gli Ampex. Poi fanno tappa al JPL e prendono anche i bancali con le bobine. Infine, si dirigono a nord, verso l’unica base della NASA che ha accettato di ospitarli, sia pure in uno spazio decisamente originale.
Ovvero in un McDonald’s. Della NASA.
Il McDonald’s del centro di ricerca Ames (Mountain View, California) era stato appena chiuso per scarso volume di affari e taglio dei costi. L’idea viene a un’impiegata del centro. Wingo e Cowing ottengono il permesso di installarsi lì, all’esterno della base NASA e all’ombra del colossale Hangar One, uno spettacolare zuccotto costruito 76 anni fa e di cui si sta discutendo la demolizione tra molte proteste.

Wingo e Cowing occupano il McDonald’s e ne fanno il quartier generale del LOIRP. Sui tavolini dove si consumavano i Big Mac dispongono i loro Mac, tolgono dagli imballaggi le bobine nelle pizze metalliche e le impilano sul pavimento, scaricano gli Ampex, e affiggono una bandiera dei pirati sulla vetrata. Poi si mettono a cercare aiuto. Trovare qualcuno che conosca ancora gli Ampex e sappia metterci le mani è la vera impresa: Wingo batte tutte le società di manutenzione e dissemina la rete di appelli e richieste. A un certo punto dal centro di Ames gli segnalano un riparatore che ha fatto dei lavori sui loro apparecchi video. Si chiama Ken Zin, è cresciuto riparando i trattori della fattoria di famiglia, poi è stato nell’esercito ed è diventato esperto di macchine crittografiche. “Erano quarant’anni che non vedevo un oggetto del genere”, dice Zin davanti allo FR-900.
Nel progetto vengono coinvolti altri tecnici e diversi studenti che stanno facendo uno stage estivo al centro Ames: alcuni di loro si sistemeranno sul pavimento del McDonald’s con i sacchi a pelo e passeranno lì anche le notti.

La squadra decide di cercare di rimettere in funzione due degli Ampex, e di usare gli altri due per le parti di ricambio. Dopo tre mesi di lavoro e ricostruzione della documentazione, un giorno Zin accende la macchina, inserisce una delle bobine, e sul monitor compare l’onda che indica la lettura del nastro. È un primo grande successo: adesso resta solo da estrarre da quel nastro il segnale, convertirlo in una serie di dati, stamparli su pellicola, scannerizzarla, digitalizzare, trasformare in immagini e associare e calibrare le immagini per ottenere le foto originali. Duemila volte.

Facciamo un salto in avanti. Questa storia finisce bene. O meglio, non è ancora finita ma è già finita bene. Il progetto del LOIRP, confidenzialmente noto come McMoon, è stato celebrato dal governo americano e dalla NASA, ha ottenuto il plauso di enti e istituzioni spaziali e il sostegno della NASA stessa. Alla visione di Nancy Evans è stato riconosciuto il merito di aver salvato i nastri (Mark Nelson, trascurato a suo dire dai riconoscimenti, ha avuto un brutto litigio con Dennis Wingo, con accuse reciproche molto violente), e le prime immagini ricostruite sono meravigliose e di straordinaria qualità. Le opportunità di conoscenza della luna e delle eventuali variazioni avvenute sulla sua superficie ne sono moltiplicate.
Ma sapete quante immagini abbiamo ottenuto, dopo due anni di occupazione del McMoon?
Quattro.

È un lavoro pazzesco. Wingo ci dedica ormai – dentro al McDonald’s – i tre quarti del suo tempo. Non c’è solo da migliorare e mantenere il precario funzionamento dei lettori e da far girare le bobine. L’elaborazione e la conversione del segnale su pellicola è un processo molto lento e articolato. La scannerizzazione, la digitalizzazione e la ricomposizione delle diverse parti delle immagini (ognuna è divisa in 86 porzioni) sui Mac di Wingo avvengono manualmente e necessitano di continue attenzioni. Anche se naturalmente man mano che si procede alcuni passaggi si accorciano e i tempi diminuiscono.

A novembre dell’anno scorso, Dennis Wingo e la sua squadra annunciano e diffondono ufficialmente la prima riproduzione: è la stupenda fotografia della terra che sorge alle spalle della luna. Malgrado tutto quello che è passato in quarant’anni, ha ancora una forza simbolica e romantica straordinaria. Ma in più, ha anche una qualità mai vista che non era stato possibile mostrare con le tecnologie di allora, e che è superiore a quella di tutte le immagini lunari raccolte dopo, e a quella resa dal telescopio Hubble.
Per non dire che successivamente, questa immagine verrà analizzata anche per individuare le condizioni meteorologiche del tempo intorno alla terra e l’estensione dei ghiacci polari, per confrontarle con i dati successivi.

“La prima macchina continua a funzionare bene. Ci sono alcuni problemi che stiamo affrontando. Uno è che molte parti elettroniche sono circuiti ibridi Ampex che ovviamente non esistono più”
(dall’aggiornamento del 5 febbraio 2009 sul blog del LOIRP)

Lo scorso marzo viene completata la seconda immagine, quella del cratere di Copernico: la foto del secolo, scorso. Fu scattata alle 7:05 PM, ora di Washington, del 24 novembre 1966, da un’altezza di 45 chilometri. I rilievi lunari appaiono straordinariamente definiti e vicini. È bellissima.

Ad aprile, il LOIRP annuncia la fase due del progetto: obiettivi, mettere in funzione un secondo Ampex FR-900 e completare la digitalizzazione di tutte le bobine entro il 2009. Costi sostenuti finora da alcune società private e dalla NASA: 250 mila dollari. Il lavoro sarà ancora lungo per la decina di persone dentro al McDonald’s, ma adesso è in discesa.

Chiedo a Dennis Wingo un’ultima cosa, sentimentale: lui risponde che è quasi impossibile, un impatto di quel genere li ha di certo disintegrati.

Ma era bello pensare che i pezzi degli eroici Lunar Orbiter schiantati sulla luna, fossero ancora là, da qualche parte.

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3 commenti su “La luna nel forno – La storia del progetto McMoon

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