Ai bagni Pancaldi

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Il film di Virzì, presentato stamattina, è perfetto. Mi è piaciuto sempre, dall’inizio alla fine, e in ogni suo momento. Mi erano piaciuti anche gli altri film di Virzì, e ci siamo conosciuti e abbiamo fatto amicizia sei anni fa sulla base di cose che io avevo scritto su Wittgenstein a proposito di Caterina va in città: e Virzì è attento lettore di blog da quando erano in pochi. Ma sia in quello che in Tutta la vita davanti avevo trovato anche qualche scelta di facile demagogia consolatoria (dissi che mi sembrava varcasse “la sottile frontiera tra terzismo e qualunquismo”), che permetteva a ogni spettatore di immedesimarsi nei tratti buoni dei personaggi e convincersi che quelli cattivi o stupidi fossero sempre gli altri (le “conventicole” con cui se la prende il fallito Castellitto sono diventate proverbiali, ma nessuno accetta di riconoscersi né nelle conventicole né in Castellitto). E troppa complice condiscendenza sul peggio dei caratteri nazionali.
Questa volta non c’è niente di tutto questo, non c’è nessun facile capro espiatorio dei disastri italiani, non c’è nessuna allusione o generalizzazione. C’è una storia con un’identità tutta sua che sta attenta a non predicare niente. Ma soprattutto ci sono degli attori pazzescamente bravi, senza la minima sbavatura, capaci di trasformarsi tutti in livornesi e di essere perfetti sempre: persino Stefania Sandrelli, che ha avuto altre volte interpretazioni piuttosto artificiose e stucchevoli, è straordinaria e principesca (a dimostrazione di quanto io sia noiosamente pedante su queste cose, segnalerò che c’è un solo interprete di poche scene che suona finto e recitante: roba di pochi secondi). E il film non ha un momento che non sia commovente o divertente (e ieri sera avevo visto il film di Ken Loach: e quanta povertà di idee, quanto poco spessore e quanta trascuratezza in una storia che ricade nello stesso genere).
Poi c’è la storia, e c’è Livorno. Sulla seconda, è chiaro che se sei livornese, o li conosci, il film ti fa impazzire dal primo minuto. C’è dentro tutta la livornesità del mondo (non che i pisani siano molto diversi: i livornesi sono come i pisani, ma di più), e la sintesi è quando alla fine Mastandrea risponde “Tutto” alla domanda “cos’è che non ti piace in questa città?”, epperò è la sua città ed è una cosa vera, da cui scappare ma indimenticabile. E Virzì la conosce così bene che ogni battuta – anche le più apparentemente normali – ha qualcosa che dice che uno di Modena la direbbe diversa. Sulla storia, dissento da Concita De Gregorio, che del film si è innamorata, ma con motivazioni che io non ci ho trovato: magari la sua condivisione geografica e generazionale di un periodo e di una città l’ha intenerita e fatto pensare che sia un film di buone cose incoraggianti. Io l’ho trovato un film di storie tristi, commoventi e tenere, ma piene di infelicità e dolore: di certo non incoraggianti. Un film di disastri inevitabili, come ci sono nella maggior parte delle famiglie, che l’amore e la generosità delle persone aiutano a sopportare. Ma forse siamo d’accordo, e lei vede del bello nel tenere duro e io del triste nel dolore che ti costringe a tenere duro.
Ma ripeto, il film è bellissimo, levadi’ulo, ha personaggi che ti vien voglia di conoscerli e voler loro bene, ed è costruito impeccabilmente in ogni dettaglio (comprese alcune battute da ribaltassi sulla seggiola).
Ci fa ‘na sega, chenlòcce.

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Un commento su “Ai bagni Pancaldi

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