Fa’ la cosa giusta

Torno a condividere il mio divertimento nella lettura di “Giustizia” di Michael Sandel, di cui posso incollare qui un paio di pagine. L’esempio citato non è il più originale – molti altri ce ne sono e anche più concreti e reali – ma è lo stesso stimolante nelle riflessioni su ciò che sia giusto.

“Immaginate di essere il manovratore di un tram lanciato a precipizio sulle rotaie a novanta chilometri all’ora: di fronte a voi vedete cinque operai fermi sul binario, con i loro arnesi; provate a frenare, ma non ci riuscite perché i freni non funzionano. Siete presi dalla disperazione, perché sapete che se la vettura li travolgerà i cinque operai moriranno tutti (ipotizziamo che lo sappiate per certo).

D’un tratto vi accorgete che alla vostra destra si dirama un binario laterale: anche lì c’è un operaio al lavoro, ma solo uno. Vi rendete conto che potete deviare il tram, uccidendo quel singolo operaio ma risparmiando gli altri cinque.

Che cosa dovreste fare? La maggioranza direbbe: “Svolta! Per quanto sia tragico uccidere una persona innocente, ucciderne cinque è ancora peggio”. Sembra proprio che la cosa giusta da fare sia questa, sacrificare una vita per salvarne cinque.

Considerate adesso un’altra versione della storia, in cui non siete più il conducente ma un osservatore, fermo su un cavalcavia affacciato sulla linea (stavolta non c’è più il binario laterale). Sta arrivando un tram lanciato a tutta velocità sulle rotaie, e in fondo si trovano cinque operai; ancora una volta i freni non funzionano, e la vettura sta per travolgere i cinque uomini. Vi sentite impotenti a evitare la catastrofe, ma a un certo punto scorgete, accanto a voi sul ponte, un uomo molto corpulento; potreste dargli una spinta e farlo cadere dal cavalcavia sul binario, incontro al tram che si sta avvicinando: lui morirebbe, ma i cinque operai si salverebbero (avete pensato di saltare giù voi stesso, ma vi rendete conto di essere troppo esile per riuscire a fermare la vettura).

Sarebbe giusto decidere di far precipitare l’omone sul binario? La maggioranza risponderebbe: “No di certo. Spingerlo sotto il tram sarebbe tremendamente ingiusto”.

Scaraventare uno giù da un ponte, condannandolo a morte certa, sembra davvero una cosa spaventosa, anche se serve a salvare cinque vite innocenti; ma questo solleva un dilemma morale: perché il principio che sembra giusto nel primo caso – sacrificare una vita per salvarne cinque – sembra ingiusto nel secondo?

Se, come suggerisce la nostra reazione alla prima ipotesi, i numeri contano qualcosa – se è vero che è meglio salvare cinque vite piuttosto che una sola – allora perché mai nel secondo caso non dovremmo applicare questo principio, e lanciarlo giù dal cavalcavia? È vero che sembra crudele mandare un uomo verso la morte, anche per una buona causa, ma è forse meno crudele uccidere un uomo facendolo travolgere dalla vettura del tram che stiamo guidando?

Forse la ragione per cui non è giusto scaraventare il passante di sotto è che così facendo ci si serve dell’uomo sul cavalcavia contro la sua volontà: lui, in fondo, non ha scelto di intromettersi, non faceva altro che starsene lì.

Però si potrebbe dire lo stesso dell’uomo intento a lavorare sulla linea laterale, che a sua volta non intendeva intromettersi, stava solo facendo il proprio lavoro, non si era offerto volontariamente per l’estremo sacrificio nell’eventualità di un tram lanciato nella corsa senza freni. Si potrebbe ribattere che gli operai addetti alle linee si assumono di propria volontà rischi a cui non sono esposti i semplici passanti, ma diamo per scontato che la disponibilità a morire per salvare gli altri in una eventuale emergenza non faccia parte dei requisiti accettati al momento dell’assunzione, e che l’operaio non abbia dato nessun consenso a sacrificare la propria vita, così come non l’ha dato il passante sul cavalcavia.

Forse la differenza morale non sta nell’effetto prevedibile sulle vittime – alla fine entrambe muoiono – ma nell’intenzione della persona che decide. In quanto conducente del tram, potreste difendere la scelta di deviare il percorso del veicolo facendo notare che la morte dell’operaio sul binario laterale non era un vostro intento, benché magari fosse un esito prevedibile; avreste raggiunto lo scopo anche se, per uno straordinario colpo di fortuna, i cinque operai fossero stati risparmiati e anche il sesto fosse riuscito a sopravvivere.

Questo però è vero anche quando si tratta di buttare giù l’uomo dal ponte: la sua morte non è affatto essenziale per ottenere il vostro obiettivo. Basta che riesca a bloccare la corsa della vettura: se riuscisse a farlo e nello stesso tempo, chissà come, a sopravvivere, voi ne sareste felicissimi.

O forse, riflettendo, per entrambe le situazioni dovrebbe valere lo stesso principio, visto che entrambe implicano la scelta deliberata di sacrificare la vita di un innocente per prevenire un numero di vittime ancor più grande. Forse esitate a spingere l’uomo giù dal ponte solo per un istintivo ribrezzo, mentre dovreste superare la vostra titubanza; è vero che mandare un uomo alla morte usando le mani nude sembra di fatto più crudele che ottenere lo stesso effetto manovrando il volante di un tram, però fare quel che è giusto non sempre è una cosa facile.

Possiamo mettere alla prova quest’idea modificando leggermente la storia. Supponiamo che voi, l’osservatore di passaggio, possiate far precipitare sulle rotaie l’omone che sta sul ponte al vostro fianco, ma senza bisogno di spingerlo; immaginatelo in piedi, su una botola che potreste scoperchiare solo girando una manopola: non c’è bisogno di nessuna spinta, ma il risultato è lo stesso. In questo modo il vostro gesto diventerebbe giusto? Oppure sarebbe comunque più ingiusto, sul piano morale, rispetto all’ipotesi in cui voi siete il manovratore e fate svoltare il tram sul binario laterale?

Non è facile spiegare la differenza morale fra i due casi: perché sembra giusto girare una manopola, mentre sembra ingiusto buttare giù l’uomo dal cavalcavia. Osservate però come ci sentiamo in obbligo di procedere argomentando finché non arriviamo a distinguerli l’uno dall’altro in modo convincente, e se non dovessimo riuscirci, sentiamo di dover modificare il nostro giudizio circa la cosa più giusta da fare nelle rispettive situazioni. A volte pensiamo che i ragionamenti su temi morali siano un modo per riuscire a persuadere gli altri, quando invece sono anche un modo per far chiarezza nelle nostre stesse convinzioni etiche, per esplicitare in che cosa crediamo e perché”

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26 commenti su “Fa’ la cosa giusta

  1. DB

    Letto questo, mi piacerebbe molto che tutti coloro che ci rappresentano, soprattutto al governo e al parlamento, mostrassero di avere un terzo della profondità che c’è alla base di questa riflessione.
    Invece, troppo spesso li vedo rispecchiati in chi – nel frangente del tram – non farebbe nulla per evitare la catastrofe e lo lascerebbe travolgere i cinque operai della prima ipotesi, salvo poi – a tragedia avvenuta – illustrare le proprie tesi su come sarebbe stato possibile evitarla.

    E dire che sono conosciuto come uno che vede sempre il bicchiere mezzo pieno.

  2. demopazzia

    Beh, direi che c’è una profonda differenza tra il conducente del tram e l’osservatore. Il primo è costretto a fare una scelta. Il sacrificio dell’unico operaio sulla linea alternativa è per lui senz’altro la scelta migliore. Avrebbe salvato 5 operai su 6. Per l’osservatore la scelta migliore è non fare niente. Non avrebbe ucciso nessuno.

  3. hermann felsner

    Quindi teniamo sempre allenate e sveglie le nostre convinzioni etiche o morali, poche o molte che siano.
    Quando dovremo usarle per scegliere sarà solo una questione di tempo e sarà la rapidità a fare la differenza.
    La consapevolezza diventerà in pochi istanti elemento di giudizio.
    Vietato far affidamento a guidatori esitanti o spettatori incerti.
    Per questo alzarsi ogni mattina un’affaraccio.

  4. cristiano valli

    adesso probabilmente farò la solita figuraccia, ma

    a) io proprio non vedo la differenza fra i due casi. posto che l’obiettivo sia salvare più persone possibili e che io non conosco nessuno dei sei, a me appaiono identici.

    b) sono sconcertato dal fatto che non ci si ponga il problema del valore di quelle persone. magari i cinque tipi sono degli stronzi. io le vite non le metto tutte sullo stesso piano. sennò allora donavo gli organi a degli sconosciuti.

  5. Luca

    Ho incollato due pagine quasi iniziali, come ho detto, Cristiano: poi le cose si fanno più approfondite. Detto questo, nel momento in cui cominciamo a ragionare su cosa sia giusto in generale per una comunità e non su “cosa farei io”, non credo sia canonizzabile il giudizio sulle persone. È la stessa questione del garantismo applicato solo agli innocenti o a tutti, o solo a chi ci sta simpatico.

  6. Andresito

    Se vi sono interessate queste poche righe di Sandel leggetevi assolutamente Menti morali di Hauser e troverete risposta a molti dei vostri quesiti. Consigliatissimo!

  7. Simonluca Merlante

    come sottolinea demopazzia, si tratta di problema di responsabilità: il conducente è responsabile, per quanto impotente, di ciò che sta per avvenire e quindi ha il dovere di fare quanto in suo potere per limitare la strage.
    Viceversa l’osservatore non ha alcun dovere. La sua sembra una scelta deliberata, e priva di informazioni, e conoscenza della situazione (non sa a.e. se il conducente avrà il tempo per frenare).
    Quanto alla botola… qui la questione si fa sfumata, centra probabilmente l’utilizzo delle mani nude (usare coercizione fisica su qualcuno). Ma bisogna ammettere che un po’ di differenza “morale” c’e’.

  8. demopazzia

    Quella della botola è una questione simile a quella dei piloti dei caccia. E’ molto più “facile” sentirsi meno responsabili della morte di qualcuno premendo un bottone e far saltare in aria qualcuno da centinaia di metri di altezza senza vedere in faccia le vittime che ucciderle strangolandole. La vicinanza ci rende più responsabili e sensibili.

  9. maury

    Concordo con il fatto che sia un problema di responsabilità. Ma vorrei fare questa domanda: affermare che l’osservatore non ha il dovere di intervenire non apre la porta all’indifferenza verso la comunità? Cerco di spiegarmi meglio: se io osservatore (che in quel momento non sono coinvolto personalmente nella situazione) non ho alcun obbligo morale nel fare quanto è in mio potere per evitare un male, un’ingiustizia alla comunità allora cosa mi rende parte di essa? Scusate il paragone: cosa ha spinto allora migliaia di persone ad aiutare gli ebrei a scampare all’olocausto anche se esse non erano personalmente coinvolte nella scelta? Mi sto perdendo in dilemmi morali e etici. Forse la domanda da farsi è: quando mi devo fermare nell’usare il mio potere e nell’assumermi responsabilità?

  10. demopazzia

    @maury.
    la questione è un po’ diversa. l’osservatore di cui si parla nella situazione del post non mette a rischio se stesso per salvare delle vite umane. Ne sacrifica un’altra. Che non ha nessuna responsabilità sul decesso eventuale degli altri 5. Il paragone con l’indifferenza delle folle rispetto alla shoah o anche ad omicidi, stupri e furti avvenuti in mezzo alla gente non è calzante. Anche se forse è proprio li che Sandel vuol arrivare. Forse il paragone più giusto è quello sul sacrificio dei civili innocenti in guerre fatte nel nome della pace e contro il terrorismo. Posso sacrificare la vita di un innocente se penso che questo potrebbe evitare altre vittime innocenti? Anche se la questione poggia su un assunto tutto da dimostrare. E cioè se il sacrificio eviti davvero altre vittime.

  11. HRose

    Non sono daccordo sulla totalita’ della cosa.

    NESSUNO ha il diritto di fare scelte per qualcun’ altro. Nessuno ha il diritto di sacrificare qualcuno senza il suo consenso.

    In una situazione attiva, in cui sei tu a guidare il tram, e’ tua la scelta di dove andare. E istintivamente vai nella direzione in cui sembra di far meno danni. Ma qui la scelta riguarda te. Non stai scegliendo per altri se non nell’ assecondare l’ inerzia.

    Un osservatore esterno non ha ruolo attivo. Non ha il diritto di osservare un presunto pericolo e condannare con sicurezza una persona senza il suo consenso. Permettere questo ad un livello morale significa giustificare una serie di prevaricazioni di ogni tipo perche’ permette di scegliere al posto di altri e imporre queste scelte.

    Secondo me il punto e’ non essere complice.

    Ricorda un po’ quella situazione tipca da film dove un tipo impone di scegliere chi uccidere tra due persone care. Se non scegli entrambe vengono uccise. Che fai?

    Dal mio punto vista queste sono regole imposte e assecondarle significa gia’ esserne complice.

    Il potere che abbiamo e che e’ giusto esercitare riguara noi stessi. Non abbiamo diritto di imporre scelte ad altri o scegliere al loro posto.

  12. CarloX

    Poi, c’è un limite. Posso davvero sempre sapere (decidere/teorizzare) quale sia la cosa giusta?
    La realtà è sfumata e complessa.
    Il conduttore del tram si trova di fronte ad una scelta tragica ma (a suo modo) chiara. Come è già stato osservato, dovrà investire comunque qualcuno. (Piccola digressione, complichiamola: se sull’altro binario ci fosse suo figlio?).
    All’osservatore esterno è richiesto un intervento dai risultati più aleatori (salvo la morte certa dell’omone): davvero il (povero) omone bloccherà iltreno? O l’avrò sacrificato invano per la mia presunzione di fare comunque qualcosa? Come faccio ad essere certo che il macchinista non freni?
    Insomma dovrò assumermi la responsabilità della scelta che farò senza appoggiarmi ad una regola, ad un sistema.
    Insomma, ammesso che io voglia agire e che ritenga la mia azione giusta e necessaria, mi troverò comunque di fronte al rischio dell’eterogenesi dei fini. Quei cinque salvati erano Hitler e i suoi più fedeli gerarchi!

  13. HRose

    Inoltre, se passa l’ idea che e’ legittimo sacrificare chiunque nel momento in cui e’ possibile costruire una qualsiasi motivazione soggettivamente giusta, allora significa che chiunque e’ sacrificabile nel nome di un’ idea.

    Prendi ad esempio una tipica azione di terrorismo. Chi la compie pensa di farlo in un modo assolutamente leggittimo, e che la propria causa “valga” il sacrificio.

    Questo non e’ accettabile.

  14. piti

    Però, non conosco collettività umane dove alla fine non si sacrifichi qualcuno in nome di un’idea (che è l’idea che conviene alle classi dominanti).
    Quegli Americani che non vogliono la riforma di Obama della sanità, e sono disposti ad accettare che muoia un povero piuttosto che annacquare il liberismo degli Stati Uniti, che altro fanno se non sacrificare una (molte) persone in nome di un’idea’

    E poi, se invece che idea lo chiamassimo “interesse” (che può essere quello del terrorista nel rafforzare la sua idea o quella del liberista a non indebolire il capitalismo americano) allora avremmo più chiaro che alla fine qualcuno sacrifica sempre qualcun altro, in nome (usurpato) di un interesse superiore che poi coincide con il proprio.

    E non dimentichiamo l’effetto fuorviante delle metafore e delle parole, che producono paradossi a non finire.
    Tipo quello famoso per cui se chiedi in giro se si può pregare mentre si fuma, chiunque ti risponderebbe di sì, mentre se la formulazione della domada fosse stata se si può fumare mentre si prega, molti direbbero di no.

  15. HRose

    Il problema era posto a livello del singolo.

    Se posto a livello della comunita’ funziona allo stesso modo: e’ legittimo che ogni comunita’ si dia le proprie regole, ma non e’ legittimo che la comunita’ provi ad imporle ad altre al di fuori di se’.

  16. Luca R

    Bene. Percorrevo la strada guidando un’auto familiare. Il cielo nevicava. Un giovane signore di nero vestito, impermeabile in sky, orecchini visibili al naso, all’occhio e alla bocca, non ha considerato lo stop. Per evitarlo sono finito contro un albero, lui, l’albero, fermo. Non collisione, viene definita. Il giovane signore ha dichiarato, sul modello cartaceo giallino pre stampato, di aver infranto le regole della strada. Conclusione: danno da ventimila euro che dovrò pagare. Perché, si chiederà il paziente lettore. Perché non l’ho ammazzato ma l’ho evitato mettendo a rischio la mia salute (ho un collare e fatico a prendere in braccio mio figlio). Ho fatto la cosa giusta? Non lo so, ma con questo pezzo di storia di vita vissuta ho mandato in vacca il tentativo di ragionamento su temi morali. Forse è per questo che ho perso le elezioni, perché spesso chi voto mi fa credere di credere nella dirittura morale e lascia in secondo piano il mondo reale.
    Luca R

  17. albertog

    Secondo me non è possibile ricreare in laboratorio le condizioni per una scelta di questo tipo, neanche con il simulatore. Troppe variabili sono in gioco, dall’identità dei personaggi al giudizio sulle probabilità che qualcosa accada al carattere e al vissuto di chi deve decidere, e semplificandole eccessivamente il “test” perde valore. Si potrebbe comunque verificare che cosa dice il codice penale italiano: ho il sospetto che se butti giù l’omone ti diano omicidio, nel caso dell’autista che devia il treno invece no. Mi stupirei del contrario. P.S. @ piti: il paradosso del fumo non tiene conto che nella realtà il momento della preghiera e quello della fumata sono ben distinguibili e i casi in cui c’è indeterminatezza sono limitati. Una condizione di indeterminatezza lascia comunque una maggiore libertà di scelta.

  18. Seldon

    Non riesco a commentare il post senza fare riferimento all'”esperimento” originale, che è più complesso di quanto riportato nel post.

    A mio avviso bisogna prima di tutto esaminare il senso stesso dell’esperimento, che implica delle “approssimazioni” determinanti.

    L’esperimento a mio avviso conduce a due diverse considerazioni: una riguarda lo studio del quadro etico di una singola persona, l’altra il quadro morale di una intera comunità e delle sue leggi.

    Le approssimazioni dell’esperimento, secondo me, sono evidenti: ad esempio, al di là di ciò che io considero morale, buttare giù dal ponte l’omone è presumibilmente *illegale*, è un crimine e quindi, nel quadro della morale della mia comunità, il problema che mi viene posto è più complesso. Se devo ipotizzare che lanciare l’omone dal cavalcavia non rappresenti un omicidio, sto facendo una fondamentale approssimazione che mi porta lontano anni luce dalla morale a cui sono abituato da sempre, e questo porta a un evidente paradosso.

    Un’altra importante approssimazione è che in nessun caso esiste una “terza opzione”. Ad esempio, in nessun caso mi viene offerto di sacrificare la mia vita per salvare quella degli altri. In molti offrirebbero la propria vita per salvarne molte altre, ma la offrirebbero per salvarne una sola? La questione si complica, ma non è questo il punto.

    In sostanza, il senso dell’esperimento non può essere definire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato moralmente, ma:
    1. Il mio livello di coerenza etica.
    2. Il livello di coerenza morale della comunità in cui vivo e delle sue leggi.
    3. Alcune indicazioni sulla “natura umana”, dove per natura umana intendo il risultato dell’evoluzione e della lotta per la sopravvivenza di cui i miei geni sono testimoni e attori.

    L’esperimento pone di fronte a scelte che, chiaramente, sono sempre perdenti, quindi l’unica cosa che può emergere riguarda la coerenza interna di certi schemi morali, e non altro.

    Per chiarire quanto voglio dire, immaginiamo di rivoltare l’esperimento e di cercare le “risposte giuste”, a partire da premesse assolutamente opinabili.

    Ad esempio, se nella mia comunità ammazzare qualcuno per salvare la vita a molte persone è consentito (moralmente e legalmente) le risposte “migliori” sono: lancia il pancione giù dal cavalcavia oppure torturalo; avrai minimizzato le perdite per la comunità in un colpo solo e senza infrangere alcuna legge, sia essa scritta, etica o morale.

    Bisogna notare che qui ci sono due sistemi morali/etici al confronto, e potenzialmente in contraddizione: il mio e quello della comunità in cui vivo. Se la legge (frutto della morale comunitaria) dice che ammazzare qualcuno è reato, allora non posso ammazzare il ciccione, anche se nel mio quadro etico questo sarebbe preferibile per ridurre le perdite dovute all’avaria dei freni. La contraddizione mi porterà a dover scegliere fra due opzioni perdenti: una per me (ammazzare il ciccione e andare in galera), l’altra per la comunità (salvare il ciccione e condannare a morte cinque innocenti).

    In definitiva, tornando alla mia premessa, quest’esperimento ci dice due cose:
    1. Prima di tutto il nostro personale livello di coerenza etica, e questo è lo scopo primario dell’esperimento nel link esterno fornito sopra. Inoltre, conducendo delle statistiche sulle risposte di molte persone, ci dice qualcosa sul quadro morale della società in cui viviamo.

    2. Poi ci fa notare come i due piani (etica personale e morale comune) agiscano sulle nostre scelte e ci costringano a risolvere delle contraddizioni a volte insanabili.

    Il fondamento dell’etica è che non esiste nulla di giusto o sbagliato a priori: ciascuno di noi ha un proprio quadro etico di riferimento, oltre ad un personale livello di coerenza che può condurlo a seguire fedelmente o meno quel quadro etico; questo quadro etico è inserito in un contesto morale che caratterizza la comunità in cui vivo, e che può essere in conflitto col quadro etico dei singoli.

    Un anarchico penserebbe che il quadro etico personale debba avere la priorità sulla morale comune, mentre un liberale cercherebbe di trovare un compromesso, magari a colpi di maggioranza. Un reazionario, o semplicemente un conservatore, penserebbe che la priorità è sulla morale comune, a danno dell’etica personale.

    Si tratta di “meta-etica”, e si torna al punto precedente: nessuno ha ragione a prescindere, e credo che sia per questo che nonostante i millenni di civiltà che l’uomo ha attraversato nella sua storia, non esista ancora una forma di governo “migliore” delle altre, diciamo pure perfetta. Piuttosto, le diverse componenti (anarchica, liberale, reazionaria) sono continuamente in conflitto fra di loro, trovando solo dei momenti di “equilibrio instabile” fra di esse.

    Si può trovare il modo di conciliare etica e morale? Se lo sapessi vincerei il Nobel per l’economia, quindi non lo so. Ma credo che possa essere possibile…

    Ad esempio, ciò che l’essere umano non ha mai sperimentato nella storia, se non in pochi momenti e in spazi comunque limitati, è la libera circolazione delle persone. Ma libera davvero… ovvero non solo senza confini, ma anche senza condizionamenti sociali, economici e morali.

    Riprendendo ciò che ha scritto albertog (che condivido quasi in pieno, e infatti ho elaborato più estesamente qualcosa che lui aveva già individuato), mi trovo in disaccordo con la questione delle “troppe variabili”, su cui lui pone l’accento.

    Per fare un esempio fisico: per sapere che una mela cadrà al suolo ho bisogno di sapere lo stato quantistico di tutte le particelle elementari che la compongono? No. A dire il vero non ho nemmeno bisogno di sapere cosa sia e a che serva la meccanica quantistica. Ed è così che Newton ha scoperto la gravità: con una mela e senza meccanica quantistica ;)

    Torniamo all’esempio sociale: c’è bisogno di conoscere la complessità di un singolo essere umano per capire le dinamiche globali dei suoi comportamenti? No, e ci sono diversi esempi in proposito, spero che chi mi legge mi darà credito su questo aspetto ;)

    Allora, immaginiamo che esistano diverse versioni di una “qualità etica fondamentale”, i cui valori sono: “anarchico”, “liberale”, “reazionario”. Al mondo esistono un certo numero di persone, ciascuna caratterizzata da uno di questi tipi fondamentali, anche se con sfumature diverse.

    Esattamente come un gas di molecole di diverso tipo (ossigeno, azoto, elio) all’interno di una scatola.

    Come evolve il sistema? Dipende da come *vincoliamo* le particelle a muoversi.

    Secondo me se gli esseri umani si lasciassero liberi di migrare da una parte all’altra del mondo, particelle con la stessa “etica” si ritroverebbero a condividere gli stessi spazi con le stesse regole, e il sistema evolverebbe verso uno stato di equilibrio stabile formato da tante piccole “isole” disomogenee fra loro.

    Questo avviene già, in realtà, nel mondo, ma sulla base di “etichette” diverse… vi dicono nulla le parole “China Town”, “Little Italy”, o “Giudecca”?

    Immaginiamo che invece di guardare il colore della pelle o la lingua parlata riuscissimo a basarci sul quadro etico personale di ciascuno: anarchico con anarchico, reazionario con reazionario, liberale con liberale: qualcuno la chiama segregazione culturale, con un accezione forse negativa.

    Sta di fatto che se un tranviere anarchico si ritrovasse nell’esperimento con sei operai anarchici da salvare o investire, risponderebbe al “test” in modo diverso da un tranviere reazionario, ma all’interno di un contesto comune (la sua etica e la morale comunitaria a quel punto coincidono), e non ci sarebbe alcuna contraddizione, qualunque fosse la sua scelta.

    In altri termini, e per sintetizzare il senso di questo mio lungo intervento: non esiste giusto o sbagliato in assoluto, ma è il contesto che determina cosa sia *relativamente* giusto o sbagliato. Viviamo in una società in cui alcuni (fosse anche la maggioranza assoluta) stabiliscono le regole morali per tutti, e questo crea le contraddizioni che emergono dall’esperimento.

    La domanda è: esiste un modo per eliminare queste contraddizioni? Secondo me sì, e spero che la mia risposta risulti quanto meno comprensibile ;)

  19. Gabriele Saveri

    Se vero quanto sostenuto da Michael Gazzaniga che l’emisfero sinistro contiene l’interprete, il cui compito consiste nell’interpretare il comportamento e le risposte cognitive ed emotive, di creare una storia continua delle nostre azioni, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e che esista un meccanismo nella mente dell’uomo, più precisamente nell’emisfero sinistro, che si sente in qualche modo obbligato a giustificare il perché della nostra condotta, costruendo delle vere e proprie teorie circa il suo significato sempre pronto a scattare in maniera del tutto automatica ogni volta che facciamo qualcosa… mi chiedo se riuscissimo ad avere il tempo si prendere “consapevolmente” una decisione e quindi operare una scelta…

  20. maury

    @demopazzia.
    Ma se si tratta di decidere se è giusto o meno sacrificare un’innocente per salvarne altri e stabilisco in base alla mia etica che è giusto: chi mi autorizza a farlo? Solo il mio assunto morale? A me sembra poco per scelte così drammatiche. E infatti ci si scontra sull’idea che esistano guerre ritenute giuste dalla comunità anche se hai singoli ripugnano. Qui entra in gioco quanto detto da @Seldon: si crea un contrasto (insanabile?) tra la mia etica e la morale della comunità. Come uscirne?

  21. demopazzia

    @maury.
    E’ proprio quello che intendevo. Sono d’accordo con te. E’ troppo poco per scelte cosi drammatiche. Come uscirne? Non saprei. Far coincidere etica e morale di una comunità? Io starei attento. Di stato etico ne abbiamo già conosciuto uno. Quello fascista.

  22. Seldon

    @Gabriele: l’ “esercizio” astratto proposto non credo si riferisca certo ad una decisione da prendere in tempo reale… non ci sono decisioni da prendere in una frazione di secondo, quanto paradossi e contraddizioni da scovare e da risolvere. Esempi sono già stati fatti: l’invio di un esercito, ma anche l’aborto, le coppie di fatto, ecc… In sintesi, tutto ciò che implica scelte etiche da inquadrare in un contesto morale collettivo. Scelte, insomma, dove entrambi gli emisferi *dovrebbero* collaborare ;)

    @demopazzia: è evidente che non mi riferivo ad uno “stato etico”, nè ad uno stato integralista religioso :)
    A dire il vero non mi riferivo nemmeno ad uno stato di qualsivoglia genere ;)
    Mi riferivo ad una qualunque comunità in cui l’etica di tutti i componenti sia condivisa, arrivando quindi a coincidere, per scelta e non certo per imposizione, alla morale collettiva.

    @maury: forse sono stato poco chiaro nel mio peraltro lungo commento, ma il punto era: se vivo in una comunità in cui la morale collettiva non coincide con la mia etica personale, mi trovo necessariamente a dover risolvere un conflitto. E’ quello che succede ai cosiddetti “obiettori di coscienza”; che si tratti di un cittadino chiamato a onorare il servizio obbligatorio di leva militare, o di un medico cattolico contrario all’aborto, il discorso di base è identico.

    Nell’utopica ipotesi in cui le mie scelte personali avvenissero in un contesto morale compatibile con la mia coscienza, non avrei nulla contro cui “obiettare”.

  23. Pingback: Links for 07/04/2010 | Giordani.org

  24. ludwigzaller

    Immaginate di essere alla guida di un tram lanciato a tutta velocità e diretto all’interno di un’aula dell’Università di Harvard. Salvereste il professor Sandel?

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