Milano ha un assessore alla cultura con un paio di cognomi, consonanti e ipsilon. Ogni tanto interviene sui giornali con analisi sulla città: una era stata questa, in cui descriveva la cittadinanza in due grandi macrocategorie, “popolo e vip”.
Oggi, invece ha presentato sul Corriere della Sera una tesi contro chi è preoccupato dei ritardi dell’Expo, sostenendo che a Milano ci sono già abbastanza ricchezze e attrazioni da permettere un expo anche domattina.
Perché un’altra realtà è possibile. C’è già, nelle pieghe della «città nomade». È l’esistente che non ha ancora forme e figure della stanzialità. I luoghi stanziali e i soggetti nomadi intrecciati possono creare connessioni capaci di produrre conoscenza e crescita al servizio di un territorio che torna a essere terra, da abitare poeticamente.
Io avrei concluso con “…torna ad essere terra, da zappare faticosamente.” ma sono cattivo. E mi preoccupo troppo per l’abbandono delle attività agricole.
sembra una dichiarazione rilasciata direttamente dai bagni dell’Hollywood (prima che lo chiudessero)
Magari ‘sembra’ quello, ma invece è un testo preso verbatim dalle profonde tesi della sinistra detta “creativa”, che quelle cose le ha inventate. Chiedere a Sofri, l’anziano.
Chiaro esempio di supercazzola prematurata con lo scappellamento a destra come fosse antani.
Ma un assessore prende anche uno stipendio ?
Si un assessore alla cultura prende uno stipendio, ma non per scrivere ‘ste cose piuttosto per mettere in atto una valorizzazione dello spazio città, nelle sue diverse forme creando interconnessioni tra gli attori che operano nel microsistema culturarale al fine di inglobare in queste dinamiche anche coloro che ne sono esclusi e arrivando così a generare un sapere diffuso capace di fare da humus per tutti i cittadini che trovano così il terreno fertile per poter elevare questa città, specie in occasione dell’EXPO, a divenire uno dei centri di sviluppo dell’attività culturale intesa nel suo senso più ampio e comprensivo…
@francesca,
checc’é? hai letto “nomade” e hai avuto riflesso alla DeCorato? ;-)
@Francesca
No, carissima, noi quando vogliamo sappiamo essere i migliori in assoluto e a sinistra non c’è nessuno che dice minchiate del genere, manco l’ultimo segretario dell’ultima sezione dell’ultimo minuscolo partitino del cazzo della sinistra. E se te ne esci con la storia della superiorità morale, ecco, sì, siamo anche moralmente superiori. E di parecchio, pure!
“superiori” o “moralmente superiori” non so proprio da dove salti fuori e non mi importa un fico.
Tuttavia propongo di cercare, di esaminare (una cosa davvero di sinistra) la pubblicistica di quegli anni. Che so? “Alfabeta”, per esempio. E anzi perché non chiedere, come suggerivo, a Sofri, a questo punto l’uno o l’altro non ha importanza?
O vuoi dirmi che non hai mai sentito teorizzare “I luoghi stanziali e i soggetti nomadi intrecciati [che] possono creare connessioni capaci di produrre conoscenza” a proposito – per esempio – della rete?
Tu credi davvero che una formule del genere ci siano estranee? Che ne dici del commento 5 di Elf? Le creiamo queste “interconnessioni” fra i “gli attori” che “operano nel microsistema culturale”? Lo generiamo in questo modo un “sapere diffuso capace di fare da humus fra i cittadini”? Tu dici che fra queste e quelle c’è la distanza fra i “supriori” e gli “inferiori”, qualunque cosa voglia dire?
Francesca, voglio sospettare ci fosse dell’ironia nel commento 5. Approfitto per dissuaderti garbatamente dall’attribuire alla mia famiglia espressioni che non le sono proprie e su cui ti muovi con inadeguata presunzione. Grazie.
Milano fin’ora ha aperto cantieri solo per costruire residenziale.
Le uniche forme di riqualificazione che procedono ad una velocità associabile a quella ipotizzata per le strutture Expo, sono le aree di competenza Formigoni e compagnia cantante che, per motivi che mi pare superfluo indicare, hanno mezzi e motivi per aprire e chiudere cantieri nel giro di un battito d’ali, mentre gli altri nel tempo che lui impiega a costruirsi la sua manhattan non sono riusciti a tirar su nemmeno un chioschetto di angurie.
L’abilità della giunta porterà la città ad arrivare a due anni dall’evento con voraggini in ogni incrocio e manco una tangenziale utile.
A quel punto il governo dirà che è roba sua perché urgente e sguinzaglierà fondi e uomini che nei restanti due anni finiranno le urbanizzazioni necessarie per speculare dal 2016 in poi.
Qualsiasi umarel che abbia passato più di due ore a fissare un cantiere (non formigoniano) potrà confermare che il piano è scritto “sui muri e sulle metropolitane” con una chiarezza cristallina.
La città arriverà al 2015 con un nulla di fatto se non una valanga di soldi redistribuiti e un paio di tram colorati.
A quel punto i visitatori, costretti a farsela a piedi lungo le linee della “avrebbe dovuto essere metrò nuova” verranno fotografati dal comune e venduti ai giapponesi come nuova forma di situazionismo meneghino appositamente organizzata per diffondere la creatività italiana unita alla nota arte d’arrangiarsi per l’occasione upgradata a 2.0.
Quelli ci cascheranno, si metteranno in fila pure loro e torneranno a casa convinti di aver vissuto un momento d’arte italiana.
Se non ci fossero tonnellate di soldi e di decreti straordinari pronti a partire il giorno che si potrà definire il tutto “urgente”, motivo per cui anche da Roma son tutti fermi zitti impegnati a non muover foglia fino a quel giorno, intelligenza (e umiltà) vorrebbe che fin da subito la città gettasse la spugna e si dicesse impreparata.
Non accadrà, ovviamente.
L’unica cosa visionabile fin da domattina per chi volesse vedere com’è, è quanto la città nella sostanza sia incredibilmente lontana dalla forma che tanto si vanta di avere di fronte a chi la conosce solo per sentito dire e soprattutto per sentito dire un sacchissimo di anni fa.
Milano è semplicemente una città morta che sopravvive solo grazie a un mito che nessuno si azzarda a revisionare.
Non attribuisco nessuna espressione alla tua famiglia; attribuisco ad un protagonista di allora, e al suo figlio che scandaglia e analizza, la capacità e i mezzi di indagare un fatto cruciale di cultura.
Cosa che fanno in pochi e che è difficile fare se ci si limita a “voler sospettare” che ci fosse dell'”ironia” in questo o quello.
Supponiamo che NON ci fosse: non ti dice qualcosa su come gente perfettamente in buona fede ‘di sinistra’ concepisce il lavoro culturale in una capitale che contiene – fra gli altri – immigrati?
Supponiamo invece che ci fosse: è QUELLA l’ironia che ci serve? Sono quelli gli strumenti che ci servono? Se è ironia allora bon, c’est tout?
Enfin. Accetto senz’altro di essere dissuasa garbatamente, ma non capisco se la mia presunzione debba essere meglio adeguata a muovermi, ect. Inopportuna, forse. Whatever.
(Sul serio. Studiatele quelle cose.)