Ieri sera l’economista Giacomo Vaciago ha spiegato molto bene a Ballarò una cosa chiarificatrice di come sta messa l’Italia e ha risposto a una domanda che gira da tempo nelle teste di molti. Ovvero ha detto che gli errori e il tempo perso da questo governo non lo paghiamo noi oggi ma “i nostri figli domani”, e che di fatto la distanza tra il disastro raccontato e l’apparente benessere diffuso percepito sta esattamente qui: il disastro mostrerà se stesso più avanti, e che è vero che l’Italia non è la Grecia proprio per questo. Che il governo può permettersi ancora di tirare in lungo nella sua inettitudine senza che le cose esplodano.
Da un po’ di tempo mi sono convinto che per l’Italia non valgano più tutti quei modi di dire come “toccare il fondo”, “traboccare il vaso”, “punto di rottura”, “la misura è colma”, eccetera. La prospettiva più realistica di questo paese è un declino lento e continuo: non infinito, naturalmente, ma potenzialmente capace di proseguire senza traumi e rotture molto a lungo. Non tocchiamo mai il fondo, si può sempre scendere oltre. Il che è un bene, ma anche un guaio: perché niente ci costringe a un cambiamento di approccio, a revisioni drastiche. Ogni giorno ci sembra come il precedente, solo appena un po’ peggio, e ci abituiamo, anche alle lamentele. Basta guardarsi indietro per ipotizzare che tra un anno staremo ancora qui a pensare che da un momento all’altro cadrà il governo.
Un tempo si diceva che la globalizzazione avrebbe fatto saltare questo stato di cose: che il doversi confrontare col mondo avrebbe costretto l’Italia a cambi di passo, a riprogettarsi. In realtà abbiamo visto che l’Italia è stata capace oltre le previsioni di mantenere una corrispondenza tra la povertà della sua offerta e quella della sua domanda, a mantenersi mercato disilluso e poco ambizioso per le proprie lentezze e decrescite: a farsi microcosmo separato dal mondo. Un paese stagnante ma autosufficiente e autosoddisfatto. In cui quelli che chiedono cambiamenti e rivoluzioni sono troppo pochi e troppo deboli. E alla fine la richiesta prevalente è in parte di mantenimento dello status quo e in parte di restaurazione dello status precedente (i modelli alternativi sono lontani, la modernità è ignorata, la paura coltivata).
La corda non si rompe e non si romperà per un altro po’, spiega Vaciago. E continueremo a pensare di averla sfangata, senza saperci spiegare perché. Perché pagheranno i prossimi, ecco perché.
E’ bizzarro che lo stesso ragionamento con le conclusioni si potrebbero applicare al pianeta alle prese con i cambiamenti climatici, i provvedimenti che non vengono presi e il conto spedito direttamente alla prossima generazione.
I problemi sorsero a partire dagli Anni settanta, quando nel Paese si accentuò un welfare (cioè un assistenzialismo) che sparse incredibili quantità di denaro su infinite categorie e corporazioni: dagli operai illicenziabili ai coltivatori diretti, dagli statali inamovibili a un sindacato che in Italia è stato potente come in nessun altro paese occidentale. E così la spesa pubblica salì spaventosamente. E’ in quella fase che il debito pubblico cominciò a crescere e che i sindacati e le classi dirigenti (comuniste e democristiane, soprattutto) cominciarono a vendersi il futuro dei loro figli. Basti che oggi, in Italia, le rendite che entrano in una famiglia media superano i salari del 15 per cento: affitti e interessi e pensioni superano il lavoro. In questo la condizione italiana è pressoché unica: per ogni lavoratore ci sono circa 1,2 pensionati, e gli occupati tra i 55 e i 64 anni anni sono solamente il 30 per cento: 17 punti meno dei danesi e persino sotto i famosi greci. I lavoratori italiani, poi, per il 90 per cento sono maschi tra i 35 e i 54 anni: è da costoro che si preleva la maggior parte dei soldi che mantengono gli altri, è dai contributi versati da costoro (elevatissimi, rispetto a quelli versati dai loro padri) che vengono impinguate le pensioni di chi viceversa non lavora. Ecco dunque il paradosso: i contributi estorti dagli stipendi dei figli, che spesso a trent’anni vivono ancora a casa, mantengono i padri che li ospitano e che in parte li mantengono a loro volta. Ecco spiegati – come accade anche in altre nazioni, ma in Italia maggiormente – quei figli trentenni che circolano per casa in stato di adolescenza protratta, pur lavorando.
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Concordo su tutto. Soprattutto che chi propone vero cambiamento è troppo debole e troppo isolato. Ed è anche messo alla porta come disturbatore. Sì, ogni riferimento a Renzi e/o Civati è voluto.
Se vinceranno loro (imperfetti ma portatori di una rottura di cui abbiamo assoluto bisogno), qualche speranza l’avremo. Altrimenti un lento e meritato declino, causato da chi si ostina a votare i Berlusconi, i Bersani, i Dalemi ecc. e a vivere in un non-mondo.
io quando penso all’Italia penso alla Spagna dopo Carlo V e Filippo II: non c’e’ niente che possa frenare il declino, che dipende in larga parte da ragioni endemiche (facci ne illustra alcune) ma anche da alcune esterne. Bisogna solo saper gestire il declino, e preparare una piattaforma di rinascita futura. Una rinascita, si badi bene, che non arriva tra 10 o 20 anni, ma tra un bel po’. Se arriva.
A livello continentale e’ lo stesso che accade all’Europa, tra l’altro, la cui irrilevanza internazionale e’ imbarazzante. Pero’ – proprio come in Italia – si continua a ragionare come se fosse possibile con un paio di interventi mettere tutto in ordine, e – opla’ – tornare forti come prima.
E’ una menzogna: perche’ forti non lo siamo da molto tempo, e forse non lo siamo mai neanche stati.
La storia si sta facendo altrove.
Ci sono un paio di fattori che possono far toccare il fondo senza compromettere troppo recupero e futuro, e sono Draghi alla BCE e questo grafico:
http://www.spiegel.de/fotostrecke/fotostrecke-71636-8.html
che dice che il prossimo anno l’Italia chiederà sui mercati il doppio dei fondi chiesti e ottenuti, con fatica, quest’anno.
E Draghi ha già detto che la BCE non potrà comprare il debito italiano all’infinito, calmierando i tassi. Il limite finanziario “mortale” è considerato un tasso al 7%, e ci siamo vicini.
Che succederebbe se per una, due aste, la Bce stesse a guardare e il tasso andasse oltre il 7%?
Penso Napolitano avrebbe sufficienti motivi per, tramite messaggio alle camere, minacciarne lo scioglimento con indizione di nuove elezioni.
Lo so, è fantapolitica/onirismo tendente alla cazzata, ma volete mettere la creatività italiana?
Adesso mi piglierai per romantico, ma ieri sera in autostrada, con le auto potenti che mi superavano a fianco e gli autogrill illuminati a giorno, mi sono ritrovato a pensare che, nonostante la crisi finanziaria, il mondo sembra procedere lo stesso. Sentivo le notizie dei tracolli di borsa e pensavo: ok, ma mica c’è la folla coi forconi che vuole il pane. Mica c’è il razionamento della benzina, mica c’è la corsa agli sportelli.
Poi ho anche pensato che in fondo le folle di Occupy [Nome_Città], i casini di Roma, i riot inglesi sono segnali deboli di un malessere strisciante, il modo in cui il XXI secolo ci dice che qualcosa non va. Magari oggi invece di assaltare la bastiglia si assalta l’alimentari sotto casa. Invece delle leggi razziali mettiamo il reato di clandestinità, giusto per esagerare. Pur edulcorati, seguiamo gli stessi sentieri dei nostri avi quando si tratta di crisi. Solo che lo facciamo con classe, filmando col cellulare e commentando su internet, e allora ci sembra che tutto sommato non stiamo così male, c’è di peggio.
Sottoscrivo ogni parola, e mi hai fatto pensare a due sequenze-tormentone: quella della “Meglio gioventù” sull’apocalisse come unica speranza per prendere coscienza e rimboccarsi le maniche (http://www.youtube.com/watch?v=TxGJ6DFocyY) e quella del “Caimano” sull’Italia che scava, scava, e raggiunto il fondo raschia (http://www.youtube.com/watch?v=jDdDlYjNrdo).
Sono d’accordo. L’unica cosa che posso dire è “Glomp!”.
E sono d’accordo anche con Facci. E così, per non saper né leggere né scrivere, posso anche spiegarmi il potere conservatore del sindacato.
Nell’economia più pianificata e statale del mondo non comunista (quella dei panettoni di stato), molto spesso i sindacati non avevano di fronte il padronato, con cui instaurare una dialettica principalemente economica (pragmatica), ma lo Stato, col quale avevano un potere contrattuale diverso, politico, in cui i rappresentanti dello Stato non erano una vera controparte, ma mediatori interessati, che dal sindacato non cercavano risparmi economici, ma apprezzamento politico (più o meno direttamente).
Incredibile: c’è ancora gente che pensa di poter taroccare la storia; almeno ne avesse le capacità…
Dall’inflazione a due cifre degli anni ’70 ci si riprese anche grazie alla “non-sfiducia” che permise di realizzare vere riforme.
Poi è arrivato il cinghialone che ha distrutto tutto ciò su cui è passato, fatto schizzare il debito pubblico alle stelle, corrotto il sistema iniettando dosi massicce di affarismo speculativo in politica e, alla fine, tagliando la corda e lasciandoci in balia dei guitti che aveva eretto a eredi.
Sono andato a vedermi l’intervento di Vaciago: certe cose le ha letteralmente urlate, ma è destinato a restare inascoltato. Come inascoltato è destinato a restare Abete, un imprenditore che sembrava comunista. Ecco dove ci ha portato l’uomo della Provvidenza, l’Unto del Signore, il degno erede del Cinghialone.
Questo fatto che siamo ben coscienti dei nostri mali e delle loro cause comincia ad irritarmi. Forse gli italiani sono soltanto un enorme aggregazione di masochisti o cosa? Ecco, mi viene da pensare che da noi le cose vadano diversamente che negli altri paesi, perché non concepiamo affatto l’idea di un unico popolo, ma al massimo possiamo tollerare l’unione in piccole fazioni, che si muovono e fanno progetti dal respiro cortissimo, nell’ambito di associazioni, corporazioni, consorterie, logge e simili. Noi non reagiamo se ad essere minacciata è l’intera comunità nazionale, perché questa è rimasta un’idea astratta, salvo viverla sotto forma di gioco nello sport, soprattutto nel calcio. Per il resto i nostri interessi di bottega prevalgono su quelli dell’intera nazione, che non possiede un orgoglio francese, piuttosto che un’abnegazione tedesca o un’intesa americana di fronte alle avversità. In conclusione dei figli degli altri italiani non ce ne frega niente!
L’Italia è già sul fondo, un esempio fra tanti: Madrid ha 13 linee di metropolitana, più di Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Catania messe assieme.
Credo, però, che la metafora dell’asintoto non renda affatto bene il concetto espresso nel pezzo – almeno afaik, correggetemi se sbaglio.
Eppure le rotture avvengono e si arriva al fondo, solo che fino ad un attimo prima nessuno lo pensa.
– Lo capiresti tu? Lo capirei io? – chide Massimo Decimo Meridio al collega generale prima di attaccare i Germani.
Non illudiamoci, il declino potrebbe non essere così soft e scaricato su chi verrà dopo di noi.
gli errori e il tempo perso da questo governo non lo paghiamo noi oggi ma “i nostri figli detta da quel dicitore a Ballarò è una frase che sento ripetere da 50 anni, da prima che quelli che la ripetono adesso fossero nati per essere “figli”, compreso il dicitore di Ballarò.
Tanto è vero quanto affermo che le proteste dei giovani “indignados” spagnoli, newyorkesi, e di quelli di Roma con infiltrazioni “inaspettate” di black block, sono appunto al grido di: “non vogliamo pagare il debito dei nostri padri” (e nonni).
Perché lo direbbero se gli errori e il tempo perso da questo governo non lo paghiamo noi oggi ma “i nostri figli dal momento che questo governo non esisteva al tempo dei loro padri (e nonni) ma ne esistevano altri contro cui certi padri degli attuali figli lanciavano nelle dimostrazioni di piazza bottiglie molotov e non si limitavano a questo?
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Beh dai, considerato che in Italia si fanno anche sempre meno figli, il fondo non lo toccherà nemmeno la prossima generazione!