I media di tutto il mondo hanno ricordato nei giorni scorsi i trent’anni dalla guerra delle isole Falkland, che per voi, miei piccoli lettori, sono delle isole nell’oceano Atlantico che gli argentini chiamano Malvinas: e per cui argentini e inglesi si fecero appunto una guerra coloniale fuori tempo massimo nel 1982. Ne avete probabilmente saputo qualcosa se avete visto di recente il film su Margaret Thatcher con Meryl Streep. Per voi geopolitici all’ascolto invece non c’è bisogno di spiegare niente: conoscete bene tutta la storia, e pure i suoi strascichi recenti, con i due paesi che ancora non l’hanno risolta e gli attriti che restano.
Per noi nel mezzo, invece, che un po’ quella guerra ce la ricordiamo senza che però rapisse tutta la nostra attenzione allora, ciò che ce la scolpì eternamente nella memoria e nelle emozioni fu il disco dei Pink Floyd dell’anno successivo, The final cut. Quello in cui Roger Waters tirò le fila delle frustrazioni del Regno Unito di quegli anni è accusò le vanità incoscienti e infantili di Margaret Thatcher e dei potenti del mondo: un disco molto antimilitarista, contro il tradimento del “sogno post bellico” nato alla fine della Guerra Mondiale col sacrificio di molti soldati, tra cui il padre di Waters. “Che abbiamo fatto, Maggie, che abbiamo fatto all’Inghilterra?”.
Fu l’ultimo disco di Waters con i Pink Floyd: paradossalmente, ciò che noi nel mezzo conosciamo di più della guerra delle Falkland, è una bella cosa.
Oh, Maggie
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Io sono tra i piccoli lettori e quelli “via di mezzo”: a quell’epoca sapevo tutti i nemici dell’Uomo Ragno e non distinguevo i Pink Floyd dai Pink Project.