Siamo stati malati

Il dibattito un tantino ridondante e ripetitivo sull’eventuale permanenza di Mario Monti nella politica italiana è un caso molto interessante di come l’ingresso in politica generi di per sé una crisi di consenso. Per una serie di meccanismi banali ma non rassicuranti sul rapporto tra persone e politica, infatti, in Italia la candidatura a qualunque ruolo è letta automaticamente come un’iniziativa egoista e di personale ambizione e presunzione. Tu sei chi sei, con il tuo carico di stima e simpatia e consenso, e appena ti candidi a qualcosa te ne sei giocato un pezzo.

Mario Monti sta in una condizione straordinaria rispetto a questo: la percezione pubblica è stata a lungo che fosse stato “chiamato” a occuparsi dell’Italia e della politica, e che fosse lì solo di passaggio, e lui l’ha coltivata e confermata. In questo modo è sfuggito al giudizio di cui sopra: e anche le critiche al suo operato in concreto sono state attenuate da quest’idea del “tecnico” e dal fatto che non lo avevamo scelto noi, cosa che ci autoassolve. Molte persone, consapevolmente o no, aggravano la loro critica e insofferenza nei confronti dei politici in conseguenza della sensazione di essere responsabili del ruolo di quei politici: li abbiamo eletti noi, ci hanno fatto delle promesse, ci stanno deludendo, abbiamo sbagliato, ci devono qualcosa. Ancora di più se, come accade da molti anni, ci sembrano persone “come noi”.
Tutto questo per Monti ha pesato finora molto meno, appunto per la straordinarietà del percorso che lo ha reso capo del Governo e anche per la sua palese differenza “da noi”.

Adesso – da qui i suoi equilibrismi – Monti si trova nella condizione di rischiare molta parte di questa situazione privilegiata: ed è costretto a cercare dei modi per far sì che essa si mantenga anche in un sistema elettorale ricostruito, dove il consenso e il mandato tornano a prevalere. Non può permettersi di chiederci dei voti, non può permettersi di fare delle promesse, non può permettersi di diventare uno come gli altri, che “si candida”, che chiede, che vuole. Che “glielo chiedano” in tanti può essere una soluzione, ma non sarà comunque più come prima. Appena dice “ok” fuori dalle stanze riservate del Quirinale (dove l’anno scorso si giocò tutta la partita, tenendo lo stesso Monti in prudente secondo piano), zàc, si perde un pezzo di pubblica indulgenza: come accurati sondaggi ci racconteranno.

Un’ultima cosa interessante è che questo rapporto di estraneità al consenso/dissenso Monti lo ha condotto anche quotidianamente nei confronti degli italiani, forse per indole caratteriale prima ancora per strategia: ha fatto di tutto per escludere un rapporto con i cittadini o gli elettori, limitando al massimo gli incontri o le iniziative di rapporto personale con problemi o comunità, e usando linguaggi e approcci di minima ricerca del consenso o limitazione del dissenso. Ha fatto come se non gliene fregasse niente di ciascuno di noi e come se piuttosto fosse stato chiamato a sistemare un’entità astratta chiamata “Italia”: e come se le sue scelte non dipendessero da quello che ne pensavano gli italiani. Al massimo rispondeva ai partiti e a Napolitano.

Tutto questo, oltre che dare a Monti il vantaggio di cui sopra, ha dato a tutti noi un grande alibi deresponsabilizzante: è stato come trovarsi improvvisamente costretti a fidarsi e non avere titolo a criticare, come con certi medici o altri professionisti a cui ci affidiamo, un po’ perché costretti e un po’ perché affidarsi è un sollievo. O come quando hai la febbre, stordito, e sai che devi guarire: ma lo stordimento ha qualcosa di riposante.
Adesso finirà, e l’eventuale governo Monti che dovesse tornare (io non ci scommetterei una lira, detto per inciso) non consentirà più questa sottrazione di responsabilità a nessuno: sarà frutto del voto, del meccanismo democratico, della richiesta di consenso, delle promesse, delle trattative. La democrazia all’opera. Non una cosa per cui Monti appare tagliato (e chissà se lo siamo noi).

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13 commenti su “Siamo stati malati

  1. fafner

    Non direi che la discesa in politica generi di per sé una crisi di consenso. Semplicemente sfuma quella parte di consenso che derivava a Monti dall’essere chiamato al Governo come un podestà straniero e con grande pompa (anvedi che questo le cose le sa per davvero e non è qua per farsi anche lui il suo partitino personale).

    Quando le cose cambiano, diventi uno come gli altri: il consenso va guadagnato, se ci riesci, e non è più un attributo della sostanza Mario Monti. Qualcuno, a questo punto, oserà addirittura criticarti.

  2. piti

    Perfetto.
    Certo che se si considera come Monti ottiene (ha ottenuto, otterrà) incarichi politici, ovvero per nomina, per conciliaboli, per imposizione e confrontare queste modalità con la cara vecchia rovinosa insostituibile democrazia del voto del popolo, ecco si nota come le cose gli andrebbero diversamente.
    E nonostante i suoi meriti, ne sono felice, di pensare che Monti soggetto a un voto popolare non vinca.
    Perché con tutto il rispetto, non lo amiamo perché lui ci disprezza.

  3. uqbal

    Monti, per poter passare da tecnico, ha dovuto rassicurare la politica ripetendo fino allo sfinimento che non si sarebbe candidato, che lui era lì soltanto comce una specie di Cincinnato richiamato in patria per ragioni eccezionali.
    Alcune cose (non tutte e nemmeno molte) gli sono state permesse perché estraneo alla politica. Come dire: queste cose le fai tu, ti fai odiare da tutti, ma tanto poi tu non ti presenti alle politiche, e invece ci presenteremo noi, non toccati dalla melma che ti sei preso in faccia tu (pensioni, lavoro, tasse).
    Se adesso si presenta, perde il consenso di chi riteneva Monti una persona seria che quel che dice, fa. Magari rompe la promessa per ottime ragioni, magari quella promessa gliel’avevano imposta obtorto collo, magari si è reso conto che dietro o dopo di lui non c’è nulla, però rimane il fatto che sta rompendo una promessa.
    Lui doveva essere anche, tecnico e capro espiatorio come è stato finora, una figura in qualche modo super partes. Se si candida, retrospettivamente fa pensare che non è super partes per niente, e alcune forze politche, se non tutte, si troverebbero ad aver fatto la figura dei fessi.

  4. Pingback: Cosa c’entra il Montismo con la democrazia | GiulioCavalli.net

  5. massimo58

    Il capolavoro di Monti e della stampa osannante era proprio quello di volerci far credere al tecnico prestato alla politica, chiamato a risolvere i mali dell’Italia.
    A ben guardare la storia dell’ uomo, la contiguita’ con gli ambienti politici risulta in realta’ di vecchia data, nonche’ la partecipazione attiva e in ruoli molto importanti a gran parte delle scelte di cui oggi piangiamo le conseguenze.

  6. tanogasparazzo

    Non capisco la palese differenza “da noi”. M.Monti nella sua vita da professore, vota e ha votato. Cosa abbia votato in tutti questi anni è un mistero. Pensiamo che abbia anche lui delle colpe, per aver votato per anni anni, forse lo stesso partito, ponendo nel voto delle aspettative, difatti ha consigliato come tecnico, scelte di politica economica sbagliate, quindi pensiamo, che oltre alle prove del passato. Nell’anno trascorso a palazzo Chigi, il suo fallimento è stato totale, ecco le prove regine: riforme pari a zero, ha colpito, i ceti che producono, riforma delle pensioni, sono un fallimento, penalizzando i giovani che non trovano lavoro, la scuola che cade a pezzi, ha posto in essere i licenziamenti, per ragione economiche, non ha ridotto i privilegi della casta, non ha ridotto gli stipendi dei burocrati, le macchine blu, le scorte, ecc. Ora se si presentasse alle elezioni, il suo indice di gradimento politico, sarebbe, con un network, di partitini, una miseria.

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  8. osvaldo

    Occorre anche considerare un fattore: la deresponsabilità governo Monti esprime bene la mia condizione di uno che si riconosce nei valori del PD, ma lo ritiene inadatto a governare il paese, per le persone che lo rappresentano ai livelli superiori, per la sua politica locale, per i legami viscerali e acritici con i sindacati, per la sua strutturale impossibilità di consentire un ricambio al suo interno che è la base per poter cambiare il paese, ciò che lo rende nella sostanza un partito conservatore. Negli altri partiti non mi riconosco nemmeno dal punto di vista astratto. Ma non mi prenderò la “responsabilità” di votare un partito in cui mi riconosco ma che ritengo inadatto. Devo sputare il rospo? Monti mi ha sollevato dalll’imbarazzo interiore finora. Ma non sono malato io. Avrei preferito che Monti rimanesse fuori e che giocasse la sua partita dopo. Ora sto pensando molto seriamente di votarlo per pragmatismo. Voto DC quindi? Chi l’avrebbe mai detto…

  9. mORA

    E se fosse il successore di Napolitano al Quirinale, poiuttosto che di sé stesso a Palazzo Chigi?

    Anche perché la storia recente (diciamo da Scalfaro in poi) ci insegna che un presidente che voglia contare più che come semplice mascotte del paese, ha tutti gli strumenti per farlo.

    E non dico che sia un bene.

  10. Qfwfq71

    Dobbiamo liberarci di questa diffidenza innata che ci fa dubitare di chiunque raggiunga posti di rilievo.
    Siamo purtroppo un paese che non riesce a darsi una possibilità perchè non consentiamo alla parte buona del paese (nel senso integerrima e profesisonale) di esercitare il governo senza ammantarla di pregiudizio.
    Non è facile, perchè Andreotti ci ha insegnato che “a pensare male si fa peccato, ma ci si azzecca…”
    Questo ci ha portato a pensare sempre il peggio di ogni azione importante, a valutare le azioni di governo in base a retropensieri e complotti di varia natura (Monti tanto per dirne una è lo schiavo del grande potere bancario…. lo sanno tutti!)
    Allora vorei poter cominciare a ridimensionare la mia personale diffidenza: non mi aspetto nulla di buono, ma cerco di valutare le cose evitando dietrologie (a costo di sembrare ingenuo)

  11. uqbal

    Mi ritrovo molto in Osvaldo (anche perché non mi sembra in contraddizione con quello che ho scritto prima).
    Quel che mi rode è che un partito come il PD sta facendo molto per rinnovarsi, ma Bersani sul programma è così fumoso che spesso non posso non pensare che sia in cattiva fede.
    E quindi mi riesce difficile pensare di votarlo, anche se mi entusiasma il fatto che nel PD esiste una componente moderna e pragmatica che si è dimostrata consistente alle ultime primarie.

  12. lorenzo68

    Io tutta questa democrazia all’opera non la vedo.
    All spalle ci siamo lasciati un governo che non a cresciuto in nessuna maniera questo paese, lo ha ulteriormente distrutto toccando le famiglie sull’aspetto fondamentale della propria istutuzione, e cioè la casa. Non ultima questa benedetta e infima Tarsu che all’atto pratico si rivela essere l’ennesima tassa sulla proprietà.
    E dove tutti si aspettavano un conclave tecnico che risolvesse i soliti spinosi problemi politici alla radice (riduzione numero dei parlamentari, riforma del fisco, stipendi, sperperi, etc…) le famiglie si sono ritrovate alla fine del gioco con un sacco di mosche nelle mani e i bastoni delle scope infilati da qualche parte.

    Vedo le solite cariatidi litigare nei cortili degli asili per un posto al sole, e sprofondare sempre più questo paese nel liquame delle parole. In definitiva votare per chi? Ma soprattutto per che cosa?

  13. osvaldo

    Ukbal, non solo non ero in contraddizione, ma condivido anche il tuo “rodere” e condivido sopratutto le tue/mie speranze per quella componente pragmatica e rinnovatrice che intravedo nel PD. Ma tant’è..

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