Uno dei molti sintomi del percorso di letterarizzazione del giornalismo italiano, è il tic che vuole “una chiusa” in fondo al pezzo. Dalla quasi totalità degli articoli dei maggiori quotidiani (e minori, spesso) è completamente sparito l’approccio che prevede che un articolo dia informazioni, fatti, dati, e l’impostazione – per fare un esempio – di dire al lettore nelle prime tre righe di cosa parla l’articolo e qual è la notizia. Questo è stato sostituito da formulazioni, riflessioni, modi di dire, ambizioni narrative, associazioni libere: un giornalismo “letterario” che è un genere capace di grandezze ed eccellenze, ma che è invede diventato maniera, frasi fatte, abitudine, modello prevalente. La chiusa (“a questo articolo manca una chiusa”) ne è un elemento tipico, e la ricerca leziosa di una chiusa inutile genera l’abuso di formule insignificanti come “staremo a vedere”, “lo dirà la storia”, “chi vivrà vedrà”, “tutto il mondo è paese”. Nella gran parte dei casi un buon articolo è finito quando sono finite le informazioni che doveva dare: non serve una chiusa.