Gli inventori di categorie musicali sono stati sempre preziosi per tutto l’indotto del business della musica: mettere un nome generico sopra canzoni, arrangiamenti e melodie anche molto diversi tra loro è sempre stato fondamentale per aiutare i negozi dei dischi a tenere un ordine sugli scaffali, ai giornalisti musicali a semplificare suoni in parole (“scrivere di musica è come ballare di architettura” è una leggendaria citazione attribuita a Frank Zappa), alle case discografiche ad attrarre i clienti. Poi questi quindici anni hanno complicato tutto, i negozi chiudono, i giornalisti contano meno, e la musica la sentiamo come ci pare prima ancora che qualcuno ci metta un bollino. Ma allora, decenni fa, si inventò a un certo punto la categoria del “soft rock”: usata per un sacco di cose a cui si volesse comunque attribuire una qualche nobiltà rock senza che avessero i suoni duri-e-puri associati al rock, fossero James Taylor o Elton John. Da una costola del soft rock più melensa ancora, e che sarebbe stato pop non fossero rimaste delle addolcite chitarre elettriche venne una cosa che chiamarono “smooth rock” o anche “yacht rock”, molto americana. Con estremi tra i Foreigner, Hall & Oates, Christopher Cross, Boz Scaggs i Toto e i Journey, sta tornando di moda nei cicli del vintage, con diverse compilation uscite di recente: improbabile abbastanza da farvi sentire originali, se le fate a sentire a cena agli amici, nel 2014.
Yacht Rock
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