Al centro della zona commerciale di maggiore espansione e vivacità di Bangkok, sull’angolo opposto del grattacielo Park Ventures che ospita il lussuoso Hotel Okura, se guardate l’isolato su Google Street View, non c’è niente. Una specie di vuoto circondato da pareti temporanee tipo cantiere appena allestito. Chi abita a Bangkok e conosce la zona tanto da orientarsi nella successione di enormi shopping mall collegati tra loro da passerelle aeree e attraversati dal percorso della metropolitana sopraelevata, lo “SkyTrain”, si ricorda che lì c’era la precedente sede dell’ambasciata britannica, col suo esteso giardino. Chi abita a Bangkok sa anche benissimo che lì, adesso, c’è il più spettacolare dei moltissimi grattacieli che a Bangkok crescono continuamente, e che Google Street View è rimasta un po’ indietro.
In onore della precedente destinazione d’uso, il nuovo grattacielo si chiama Central Embassy, e nella sua parte conclusa da pochi mesi ospita sei piani di shopping mall di superlusso, tutto brand di moda internazionali e catene e ristoranti investiti evidentemente della richiesta di essere esteticamente all’altezza del contenitore. Che è una costruzione di trentasette piani progettata dallo studio dell’architetto inglese Amanda Levete, con una sagoma animalesca e tortuosa che si distingue dalla torreggiante pesantezza della gran parte degli altri grattacieli della città (a Bangkok dicono che lì non c’è la frenesia cantieristica di Singapore o Hong Kong, un po’ meno: ma se confrontiamo con quelle decine e decine di costruzioni in corso su tutti i suoi orizzonti la curiosità e fermento con cui Milano ha osservato la sua manciata di nuovi grattacieli di questo decennio, ci diamo una regolata e una misura). L’edificio di Central Embassy sarà terminato nel 2015, e un albergo riempira i trenta piani della sua parte più elevata: i sei inferiori dello shopping mall sono già affollatissimi di clienti soprattutto giovani che punteggiano il serpeggiare dei suoi incroci bianchissimi di ballatoi e scale mobili, una specie di Guggenheim stiracchiato e attorcigliato.
Il nome Central Embassy ha anche un’altra radice: “Central Retail” è il nome della più importante impresa commerciale thailandese, di conduzione familiare da 65 anni e oggi proprietaria di decine di negozi, ristoranti e centri commerciali: cresciuta tanto da dover guardare al resto del mondo, e tre anni fa si è comprata la Rinascente, per esempio. Quello che ci guarda di più, al resto del mondo, è il giovane erede della famiglia Barom Bhicharnchitr, responsabile del progetto di Embassy Central e della sua gestione. Sull’attenzione al lusso e ai fenomeni di moda, arte e design internazionali ha concentrato l’immagine di Central Embassy, facendola culminare in un concept store all’ultimo piano, Siwilai, che ha preso a modello per sua ammissione i più illustri casi di Colette a Parigi e Corso Como a Milano. E per insistere in questa direzione ha trovato un altro con la fissazione della contemporaneità, del design, e dell’inventarsi delle cose: si chiama Thomas Erber, ed è francese.
Al centro della grande lobby al piano terra di Central Embassy in queste settimane c’è una struttura di legno geometrica e antitetica alle curve di cemento bianco che la circondano, che ricorda un po’ le cose del russo Tatlin e un po’ il “tesseratto” di Interstellar. L’hanno disegnata e costruita i due giovani architetti francesi Mathieu Prat e Jean Panien dello studio Diplomates, aiutati a Bangkok dal loro collega americano David Schafer, su richiesta di Thomas Erber che aveva scelto Embassy Central per ospitare la sesta edizione del suo “temporary concept store” dal nome lezioso e autocelebrativo di “Le cabinet de curiosités of Thomas Erber”.
Erber è un ex giornalista di Le Monde e Vogue, appassionato di design e di musica, che a un certo punto ha deciso di voler rappresentare e mostrare prodotti, oggetti e brand indipendenti e originali della moda e del design internazionale in una specie di mostra annuale – un “museo”, dice lui – prendendo a modello i “Cabinets des curiosités” in cui reali e aristocratici europei un tempo raccoglievano pezzi e creazioni unici e originali in collezioni riservate da mostrare a ospiti straordinari. Erber le sue, di collezioni, le mostra a tutti: passa un anno intero a girare il mondo e guardarsi intorno e conoscere artisti e stilisti e designer, e ormai da cinque anni allestisce la sua esposizione mensile di prodotti rari o unici in un altrettanto selezionato luogo del mondo (cominciò con Colette a Parigi, poi Londra, Berlino, New York e ora Bangkok che, dice, “sta diventando la California dell’Asia”).
Esposti nella struttura di Diplomates e nel negozio Siwilai ci sono una tavola da surf, due camicie, una motocicletta, una fotografia, un divanetto, un tavolo da cena da ping pong, un paio di sci, una borsa, un coccodrillo su uno skateboard, dei coltelli. Una settantina di oggetti tutti molto “speciali” e poco visti – belli, meno belli, strani – che sono messi in vendita per un mese (finora Erber ci ha perso dei soldi, ma quest’anno conta di pareggiare i conti, infine). Gli autori delle cose esposte vengono da ogni posto del mondo (ci sono anche gli umbri di Bottega Conticelli, i napoletani di Laboratorio Rubinacci e il marchigiano Flavio Girolami di Common Projects) ed Erber – che è compiaciuto di quel che ha costruito, ma mostra grande discrezione da deejay, facendo parlare la sua playlist – li riunisce in un convegno volatile ma anche fertile di idee, relazioni e rimescolamenti tra inventive e imprese diverse. Altrettanto compiaciuto è il suo complice Barom Bhicharnchitr, che raccoglie questo riconoscimento del ruolo di Bangkok all’interno del mercato asiatico – mercato che genera anche creatività e centralità nuove, artistiche e imprenditoriali – e questo insediamento thailandese di brand e mondi occidentali in un’inversione storica di tragitti che ormai è consolidata. Fuori da Central Embassy un immenso schermo luminoso mostra gli interni e il logo della Rinascente.