Un terreno specifico su cui si applicano con meccanismi ormai quotidiani il sensazionalismo e l’esagerazione di alcuni giornali italiani è quello del “numero dei morti”. Ne cito degli esempi in diverse occasioni in questo libro sulle Notizie che non lo erano, insieme all’illuminante articolo del 1989 del Chicago Tribune su certo giornalismo italiano.
Se una citazione è troppo grigia, rendila più piccante: chi vuoi che se ne accorga? Se solo poche persone sono morte in un massacro nella giungla, chi protesterà se le fai diventare decine? Ma fai centinaia.
Quando avvengono catastrofi o eventi violenti di cronaca internazionale – e le prime notizie sono caotiche, contraddittorie, inaffidabili – la regola rispetto al numero di morti in diverse redazioni italiane è “vale il numero più alto, arrotondato per eccesso”. La ragione è semplice ed è quella che orienta gran parte della nostra informazione: alzare l’asticella dell’impressionante e del roboante. Non è una scelta innocua, perché abitua noi lettori a misurare storie e avvenimenti solo in base ai numeri, e spesso a numeri falsi, e a sottovalutare più di quanto già non facciamo notizie in cui non ci sia un gran numero di morti da citare, più alto del precedente.
Una storia drammatica e importantissima nella storia recente di un paese rilevante come la Cina, per esempio, è quella delle intossicazioni di bambini per la diffusione di latte in polvere adulterato nel 2008. Oltre alle malattie e lesioni causate a tantissimi bambini cinesi, e alle sofferenze per tantissime famiglie, quella storia rese ineludibile la dimensione della trascuratezza di norme e attenzioni sanitarie all’interno della straordinaria crescita industriale ed economica recente della Cina, e colpì pesantemente la fiducia dei consumatori cinesi e dei paesi esteri nei confronti dei prodotti alimentari cinesi. Era successo che al latte in polvere era stata aggiunta una sostanza con effetti tossici per aumentare il contenuto proteico del latte, e che un sistema di controlli corrotto era stato indulgente nei confronti di questa adulterazione. Morirono diversi bambini: ufficialmente sei, forse una decina, forse di più, perché su alcune cause di morte restano dei dubbi. Secondo le stime condivise almeno trecentomila bambini subirono a diversi livelli di gravità gli effetti tossici di quei prodotti: diversi di loro hanno tuttora problemi renali.
Le alterazioni riguardarono una grandissima parte di latte – e altri prodotti contenenti latte – prodotto in Cina e commercializzato da tante società, comprese anche alcune multinazionali occidentali. Nestlé, per esempio, dichiarò che il suo latte era sicuro, ma fece grossi investimenti in più accurati controlli e ricerche dopo che alcune tracce dell’adulterante tossico erano state trovate in alcuni suoi prodotti a Taiwan e Hong Kong.
Questa è la storia.
Sabato si è chiuso un importante convegno italiano di tre giorni a cui hanno partecipato i maggiori dirigenti di molte catene di supermercati e di molte società alimentari: sul palco, poco dopo l’applaudito intervento di un importante responsabile di Nestlè – che era tra gli sponsor del convegno – sulle innovative strategie di comunicazione dell’azienda, il programma si è chiuso con un intervento del giornalista Federico Rampini, a cui il convegno aveva commissionato un discorso intitolato “Suggestioni sul futuro che verrà“. Federico Rampini lo ha declinato in forma di racconto autobiografico sui luoghi del mondo in cui ha vissuto negli ultimi due decenni, e a un certo punto ha raccontato alle diverse centinaia di persone presenti alcune cose sulla Cina e su Pechino (dove, ha spiegato, “vivono ormai sotto una cappa permanente di smog, per i tre quarti delle giornate dell’anno vivono sotto un cielo grigio nero, c’è poca differenza tra il giorno e la notte”).
E a un certo punto Federico Rampini – dentro un racconto appunto molto enfatico – ha citato la storia del latte in polvere (qui, minuto 12 e 30), in questi sintetici termini.
“morirono migliaia di neonati cinesi per la contaminazione del latte in polvere. Le mamme cinesi del ceto medio alto nelle grandi città andavano ad assaltare supermercati come Carrefour per cercare il latte in polvere Nestlé”
Ora – a parte l’ultimo aneddoto, in quel contesto, davanti a quella platea, e a quegli sponsor – come abbiamo visto, questo dato non risulta a nessuno. Le cifre ufficiali o stimate dei morti di quella tragedia vanno da sei a poche decine: bastano a renderla terribile, insieme alle altre cose che ho citato. Ma Rampini, giornalista, famoso in quanto esperto di Cina, ha ritenuto di dire invece alle molte persone che lo ascoltavano che “morirono migliaia di neonati cinesi”, aderendo alla regola di cui sopra: e quelle persone – tranne chi non abbia controllato o non si ricordasse diversamente – sono andate via avendo assunto questa notizia. Le poche che invece hanno notato che la cifra era inventata – come è capitato a molti in altri casi simili di improvvisa e indesiderata consapevolezza – si sono chieste quante altre cose ascoltano e leggono ogni giorno, e non sono vere.
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Mi ha dato l’impressione di una mossa di marketing: alzando l’asticella emotiva sulle “migliaia” di morti, ha posto più enfasi sui marchi Carrefour e Nestlé. Quasi una marchetta.