I modi in cui fronti opposti di strumentalizzazione stanno raccontando e si stanno raccontando la strage di Orlando sono avvilenti, da due giorni. Del fronte islamofobo e meschino – e transoceanico: va da Trump a certi italiani di lunga tradizione – che ha da subito cercato di ricavare qualche punto percentuale di consenso o qualche lettore da quello che era successo non vale parlare più di tanto: sono approcci noti e familiari, che stavolta si sono costretti a ignorare – “non difenderemo mica i gay?” – la qualità platealmente omofoba della strage, confermata da quello che è stato raccontato sul suo esecutore. O che scoprono l’omofobia violenta e religiosa solo quando ne sono responsabili religioni diverse da quella cristiana.
Ma è impressionante la speculare elusione della peculiarità di quello che è successo in rapporto al terrorismo islamista da parte di osservatori cosiddetti progressisti, riassunta – ma sono due giorni che si leggono cose simili – nella frase che apre oggi il commento di Vittorio Zucconi su Repubblica.
quella lancinante omofobia che la fissazione collettiva con la “minaccia islamica” ha offuscato
Leggiamo cioè, che l’esistenza di una minaccia islamica è una “fissazione collettiva”. E tutto l’articolo – ripeto, lo uso come esempio più vistoso ed esibito: ma ho visto sforzi simili in altri pezzi, e tweet, e post – è dedicato a disprezzare come ingannevoli e in malafede i pretesi tentativi di associare l’attentato a tratti di violenza islamista e alla predicazione dell’ISIS.
L’impegno diffuso da domenica presso un esteso fronte progressista (di alcuni non posso neanche dubitare la buona fede: di alcuni) sembra essere di ricondurlo a “un ennesimo matto americano che ha ammazzato un sacco di gente perché negli Stati Uniti ci sono troppe armi”, e che stavolta ha ammazzato i gay “perseguitati dalle destre conservatrici” (sintesi mie).
E non c’è dubbio: in America ci sono i matti, le armi, e le persecuzioni omofobe delle destre conservatrici (queste ultime anche in Italia).
Ma davvero volete fare finta che le dichiarazioni sull’ISIS dell’attentatore siano il capriccio di un matto come un altro?
Per fortuna ci sono analisi più equilibrate e preoccupate proprio negli Stati Uniti. Scrive oggi il New York Times, descrivendo “un nuovo tipo di terrorismo”:
Investigators now face the question of how much the killings were the act of a deeply disturbed man, as his former wife and others described him, and how much he was driven by religious or political ideology. Whatever drove him to carry out the shootings, his actions highlight the difficulty for the American government in trying to address a new style of terrorism — random acts of violence that may have been at least partly inspired by the Islamic State but were not directed by the group’s leaders.
E all’interno della stessa Repubblica è tradotto un altro articolo del New York Times (che il Post aveva raccontato qui ieri):
Negli ultimi due anni, influenzare aggressori lontani perché giurino fedeltà allo Stato islamico e mettano in atto omicidi di massa è diventata una parte fondamentale della propaganda del gruppo. C’è una confusione intenzionale sulla linea che divide le operazioni programmate e portate a termine dai combattenti che appartengono al gruppo terroristico e quelle messe in atto dai suoi simpatizzanti. Il responsabile della strage, Omar Mateen, ha detto a un operatore del 911 di giurare fedeltà allo Stato islamico. Nelle regole del gruppo, questo impegno è una parte centrale del protocollo Is.
Con la strage di Orlando, è la terza volta, a quanto è dato sapere, che questo giuramento di fedeltà viene proclamato negli Stati Uniti.
Trasformare questo palese cambio di scenario in una contesa tra “l’avevamo detto” e “siete dei razzisti” è il modo più scellerato di affrontarlo (si pone tra l’altro la questione di come controllare persone di questo genere), e già in passato la sottovalutazione della dimensione della violenza fanatica islamista ha costretto parecchi a cambiare opinione, che lo abbiano ammesso o no. Sarebbe saggio seguire delle analisi come queste ultime e rimuovere dalle priorità il timore di “fare il gioco di”, timore che tanti disastri e posizioni assurde produce di questi complicati tempi.