Al di là del merito, lo “scoop” di Repubblica su quello che avrebbe detto D’Alema dà un valore nuovo al ruolo del giornalismo. L’idea di riferire con un articolo di una pagina intera e grande enfasi sulla propria homepage una cosa presentata come sentita dire e che uno avrebbe detto privatamente, e che nessuna fonte certa e diretta conferma, e che anzi tutti smentiscono fino all’interessato, offre nuove straordinarie opportunità, d’ora in poi (ci sono precedenti proprio con D’Alema, ma qui si rilancia). Io domani posso pubblicare un articolo in cui rivelo che Beppe Grillo ha detto ai suoi amici romani di votare Giachetti per ridimensionare la Raggi, o che Parisi ha detto ai suoi parenti di votare Sala perché in realtà non ne vuole sapere di fare il sindaco. Eccetera. È la fine di un giornalismo superato, buono solo per vederlo in certi vecchi film americani, qui da noi: basta solo che una cosa venga scritta, oppure che sia verosimile (cosa non è verosimile, ormai, soprattutto in Italia?), e questo agita la discussione politica per una giornata intera: in un trionfo superiore alle attese del noto modello zizzania.
E infatti nuove grandi libertà si offrono non solo al giornalismo, ma persino alla politica, come si vede: dove persino Matteo Orfini si avventura a chiedere a D’Alema di smentire una cosa che in qualunque sistema normale dell’informazione Orfini dovrebbe invece chiedere a Repubblica di confermare. Ed è questo comportamento di Orfini – e Serracchiani, e altri – a legittimare e dare un senso a questo tipo di giornalismo: se loro mi prendono sul serio e ne fanno nascere un caso, invece di chiedermi conto, perché dovrei scrivere delle vecchie banali cose verificate, con le fonti, con le prove? Che mi prendono tempo, e magari non ci sono le fonti e le prove.
Orfini se lo domanderà meglio al prossimo articolo, quello in cui si racconterà che Orfini va dicendo che è ora di scaricare Renzi e mettere al suo posto la Boschi. Alla fine vincono sempre i giornalisti.
p.s. Ho cambiato il titolo al post dopo che mi hanno fatto notare che la citazione poteva suggerire secondi fini e intenzioni. Qui parlo del metodo, non – come scritto in incipit – della sostanza del caso. In questa discussione su Facebook spiego che la riflessione vale anche se il contenuto dell’articolo è vero, non è quello il punto.
p.p.s qui un seguito della storia.
Non è solamente il giornalista a vincere, e a poter provare l’ebrezza di spostare voti: persone interne al PD sono riuscite anonimamente a mettere in bocca a D’Alema delle parole che probabilmente non ha mai pronunciato. E vederle riportate tra virgolette in prima pagina, e difese dalla redazione che le “conferma”. Chi siano queste fonti anonime, e quali interessi abbiano nell’influenzare il dibattito politico, non possiamo saperlo. L’uso delle fonti fatto da De Marchis non è finalizzato alla cruda notizia (es: “fonti interne dichiarano che Berlusconi voglia togliere l’imu”), ma alla costruzione di una narrativa del conflitto (“Renzi è su tutte le furie”, “Renzi si sente attaccato dai magistrati politicizzati”) sorretta da un uso truffaldino della scrittura, che nasconde l’incertezza e cerca di proporsi come testimonianza diretta, con il risultato di generare un forte effetto distorsivo della percezione che i lettori hanno della politica e dei suoi protagonisti. Con un articolo, De Marchis e la sua fonte, possono far apparire un politico come debole, arrogante o addirittura traditore.
Giusto l’appunto rivolto ad Orfini, ma un pelo utopico. Inutile chiedere a Repubblica una conferma, se loro continueranno a confermare la propria versione, senza fornire prove, anche dopo che l’interessato ha smentito. Tra l’altro, in italia, la smentita è sempre e solo controprova della malafede di nega dopo essere stato beccato (dai giornalisti), o dell’incoerenza di chi fa una giravolta e cambia idea (grazie ai giornalisti).
E quando mai questo blog si lascia scappare una stilettata contro il quotidiano fondato da Scalfari?Mi sembra assolutamente logico che la gran parte delle cose scritte sui giornali sono “sentite”,cioè provengono da fonti che,è ovvio,non si possono divulgare.Infatti “La Repubblica” stessa precisa che la notizia proviene da “più fonti”,cosa ben diversa dal “sentito dire” di livello comaresco che Sofri jr fa aleggiare,errando(vagolando).
Se proprio la “battaglia” contro questo quotidiano va fatta è che si liberi dal piddinismo a dosi massicce,eredità peraltro della precedente gestione,a sua volta palingenesi della vocazione cattocomunista travestita da liberal del sor Scalfari.
Avviso al lettore.diffida di quello che contro un quotidiano della sinistra pd scrive un renziano,figlio di un ex giornalista dello stesso quotidiano,andatosene dopo l’investitura di Calabresi,figlio dell’eroico commissario,sempre poco ricordato.
Sono contento che Sofri la pensi così, anche se tutti i post che ha scritto sul caso Crocetta /Espresso avrebbero fatto pensare al contrario. Ovvero: se si addita una “notizia” ricavata da un “sentito dire” (un eufemismo per le “fonti anonime” di Repubblica) come un caso di “giornalismo superato”, non si sarebbe dovuto dire lo stesso dell’articolo dell’Espresso di un anno fa dove due giornalisti avrebbero riportato il contenuto di un’intercettazione che avrebbero sentito grazie ad una fonte anonima? Oppure bisognava rilanciare, portando a favore della tesi dell’esistenza di quell’intercettazione le testimonianze di fonti anonime “vicine ai Carabinieri” riportate da Fanpage, un sito altrimenti sconosciuto e dalla dubbia attendibilità?
http://www.wittgenstein.it/2015/07/18/intercettazione-crocetta/
http://www.wittgenstein.it/2015/07/20/crocetta-borsellino/
http://www.wittgenstein.it/2015/07/22/carabinieri-crocetta/
http://www.wittgenstein.it/2015/07/23/carabinieri-intercettazioni-crocetta/
http://www.wittgenstein.it/2015/07/23/espresso-crocetta/
http://www.wittgenstein.it/2015/07/24/espresso-crocetta-borsellino/
http://www.wittgenstein.it/2015/08/03/espresso-crocetta-intercettazione/
E quindi come la mettiamo?
Non facciamo/leggiamo piú articoli fatti sulla base di indiscrezioni? Usiamo solo dichiarazioni ufficali, comunicati stampa, tweet?
Questo giornalismo puó non piacere, cammina su un confine molto sottile, ma la differenza con “mio cuggino ha detto che…” esiste, eccome. La fanno la ricerca di piú conferme, la deontologia di chi scrive, e tutto quello che nell’articolo non c’é perché non si puó riferire, magari (non ne ho idea, sparo a caso) un rapporto di profonda conoscenza con una delle fonti. E quindi come facciamo? Ci fidiamo di chi ‘ha scritto perché é il suo mestiere e lo sa fare, e perché lo pubblica Repubblica. Questo é (ancora) il ruolo dei giornali e dei giornalisti.