Cose che somigliano al burkini

Nei dibattiti estivi intorno all’estivo tema del “burkini” ho letto molti paragoni usati per cercare di capire il rilievo degli sporadici divieti, quelli che hanno generato i dibattiti. “È come se”, hanno detto e scritto in molti: è come se vietassero alle suore di andare in spiaggia vestite da suore, è come se vietassero di andare in spiaggia con una croce al collo, simbolo religioso, è come se vietassero di stare in spiaggia con una muta da surf. Ognuno di voi avrà sentito, o detto, la propria quota di “è come se”.

I paragoni sono utili a riflettere e a mettere le cose nuove o sconosciute in contesti familiari o schemi mentali radicati e più conosciuti: io stesso ne sono un consumatore seriale. Però bisogna stare attenti a ricordarsi che sono paragoni, non uguaglianze: aiutano a trovare tratti comuni di analisi tra situazioni e casi che sono molto diversi tra loro. Quindi non è mai “come se”. Per un tratto che è comune ai casi paragonati ce ne sono altri cinque, dieci, cento, diversi. Per questa ragione i paragoni sono in effetti più utili se sono molti, e se riescono ad affrontare con diversi casi simili i diversi aspetti di una questione. Certo, la conseguenza sarà una maggiore complessità e una minore immediata certezza: chi cerca nella realtà immediate certezze e ne teme le complessità, si ferma più volentieri al primo “è come se”.

Quindi – detto che non ho un’opinione chiara sul divieto del “burkini”, appunto – aggiungo al già ricco novero degli “è come se” altri due paragoni possibili e che mi sembrano importanti per arricchire ed estendere lo sguardo sulla questione.

Uno è quello col divieto di mostrarsi nudi in spiaggia: divieto presente e assai applicato e condiviso nelle nostre società, a partire dal rispetto per le persone che possano sentirsi imbarazzate, infastidite, o addirittura minacciate dalla esposta nudità altrui. Le nostre culture hanno – con sviluppi e modificazioni continue – condiviso un’idea di limite e di “norma” in nome di una sensibilità diffusa e che è loro propria.

Un altro paragone è quello con la cintura di castità, paragone che pone il tema della discriminazione femminile, molto trascurato, mi pare, dai sostenitori della libertà di vestirsi e lasciar vestire come si vuole. Il costume che copre i corpi è infatti una cosa che riguarda solo le donne, e discende da una cultura discriminatoria che predica e pratica – anche in questa occasione – una superiorità maschile prepotente. Che poi questa discriminazione sia accettata anche da alcune donne non la rende più libera e non dimostra niente sulla reale libertà di scelta: è inutile dirlo. Ma i meccanismi che impongono ad alcune donne di andare in spiaggia completamente coperte sono gli stessi che impongono ad altre donne di non andarci proprio, in spiaggia, e ad altre magari di non uscire di casa. Ci sono differenze quantitative, anche qui, ma come in tutti i paragoni un tratto comune: una cultura che costringe le donne a sacrifici da cui invece libera gli uomini, facendoli invece sorveglianti e applicatori – spesso con violenza – di questi sacrifici.

Aggiungiamo quindi pure questi due “è come se” al repertorio, e poi decidiamo eventualmente che non sia con i divieti che si permette di superare queste tensioni, oppure che i divieti sono un normale strumento di educazione ed evoluzione in molti altri contesti, oltre che di tutela e protezione delle comunità degli individui. Ricordandoci che le cose cambiano, e niente “è come se”.

Poi aggiungo un’altra cosa più generale: il “rispetto per le religioni” è una specie di totem abusato per applicare pesi e misure diverse quando si parla delle religioni. Le religioni e in particolare le regole delle chiese sono costruzioni culturali e scelte, non malattie di cui i credenti sono vittime. Decidere di obbedire a queste regole – qualunque chiesa le abbia inventate – è una scelta che è una cosa diversa dalla spiritualità o dal proprio rapporto con Dio. Il rispetto che si deve a queste scelte e a queste regole – che è giusto ci sia – non ha ragioni di essere esente da limiti o superiore a quello che si deve avere verso ogni comportamento che gli individui scelgono per altre ragioni religiose o atee: che sia di essere vegetariani, o di praticare il nudismo, o di non voler essere tredici a tavola o di non accettare trasfusioni. Di norma, sono scelte individuali che si rispettano e si tutelano fino a che non diventano obblighi indesiderati per qualcun altro, diretti o indiretti. Una violenza domestica, in qualunque forma, è una violenza domestica che sia predicata da una religione o no. Ma qui il tema è più esteso: quello che volevo ricordare è che la parola “religione” non può essere un alibi per un’area di sospensione né delle libertà né dei doveri che riconosciamo nel resto delle nostre vite comuni.

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11 commenti su “Cose che somigliano al burkini

  1. emabroes

    Attenzione alle cinture di castita’, che nonostante i film di Fantozzi erano usate piu’ come difesa (per esempio una donna durante un viaggio pericoloso) e come arma di potere maschile (ti metto la cintura di castita’ e mi porto via la chiave intanto che sono alle Crociate).

    Per altro questa seconda ipotesi avrebbe avuto ovvie e tremende conseguenze sanitarie per la poveretta.

  2. ciskoh

    Ragionamento giustissimo, soprattutto per qunto riguarda il supposto alibi della religione.
    Credo che però il discorso sul Burkini diventi complicato perchè stiamo discutendo di ciò che a “noi” urta (quell’angosciante vestito nero, o la versione un po’ più allegra da spiaggia) che si interseca con ciò che loro (le donne che lo portano) vogliono o vorrebbero o dovrebbero essere libere di volere.

    Per quanto mi riguarda per decidere se vietare o no il Burkini bisognerebbe chiedersi che effetti avrebbe tale divieto:
    Aiuta in qualche modo chi non può scegliere? Aiuta chi lo sceglie per le ragioni “sbagliate” a confrontarsi con chi fa scelte più libere? Mi pare che la risposta sia no a tutto. Non integra ma esclude e scaccia!

  3. fp57

    scrivo
    – in difesa del “come se”, che è la nostra “immaginazione” senza la quale non saremmo in grado di immedesimarci o di valutare altro che la nostra esperienza individuale
    – in difesa del nudismo da sperimentare in spiagge deserte, in ore inconsuete, all’alba. Nudismo, spiagge deserte, ore inconsuete si identificano, sono una sola cosa per bellezza.
    – in difesa delle tradizioni culturali e spirituali altrui, avendo fiducia nella loro autenticità ed essenzialità.
    – contro l’ipocrisia di chi usa i divieti, essendo (chi li usa) incapace di immaginare e di costellare un mondo migliore in cui convivere.

  4. Ermes

    La maggiore tristezza si incontra leggendo accanite femministe che non sono capaci di difendere la libertà di altre donne. Perché di fronte ai comportamenti dell’ “homus islamicus” è diventato raro usare la stessa contrapposizione con la quale si chiede la libertà assoluta dell’uso del proprio corpo ? Perché non si conducono le stesse battagli contro “la donna oggetto” ? Perché l’omicidio di una donna è “femminicidio” mentre l’uccisione di una ragazza da parte del padre islamico è solo un fatto di cronaca ? Più facile parlare di Burkini e dilettarsi sulla loro opportunità.

  5. IreneBo

    Vincendo la normale tolleranza del “ciascuno ha diritto di vestirsi come gli pare”, credo alla fine che il divieto sia giusto, non per paura ma per motivi culturali. Il burkini in pratica ci dice che il corpo della donna deve essere nascosto per non essere di tentazione all’uomo, che invece può tranquillamente fare il bagno in bermuda. No, davvero, non si può. Non lasciamoci trascinare in una logica da cui siamo usciti con tanta fatica. Il burkini non è accettabile nella nostra civiltà.

  6. Julian B. Nortier

    Il punto base è che una suora ha fatto,in gnere,una libera scelta.Ma soprattutto,non si vede perchè debbano imporci la loro cultura deviata,quando invece se io,per esempio,vado con crocifisso in certi paesi arabi,mi fanno fare una fine deleteria.E’ proprio per atteggiamenti buonisti e falso rispettosi come questi,invece di prendere di petto la questione,che i trump di questo mondo proliferano.Per una volta,anche Sofri,rischia di capire che il relativismo porta a volte a conseguenze nefaste.Il burkini potrà essere tollerato quando le abitudini cristiane verranno rispettate in quei paesi,in tutti quei paesi.Dobbiamo essere fratelli dell’altro ma non certo dirgli,se sta facendo una cosa fuori dal mondo,che è tutto ok.Se io mi fascio il viso vengo,giustamente,fermato dai pulotti entro tre nanosecondi.Non si vede-oltre alla mancanza di reciprocità internazionale-farlo Loro.Li abbiamo abituati troppo bene ed ora,in effetti,è dura dirgli:signori,signore,guardate che,perfino in Italia,ci sono delle regole precise.Pure per gli amati stranierotti.

  7. Michele Luzzatto

    E’ verissimo che il “comune senso se pudore” è qualcosa di variabile nel tempo e nello spazio, ma proprio per questo trovo che oggi in Europa sia inaccettabile il pensiero di sacrificare la libertà di alcuni per tutelare altri che possano sentirsi imbarazzati, infastiditi, o addirittura minacciati dal burkini, nè più e nè meno di quanto trovo inaccettabile il pensiero che vadano tutelate le persone che possano sentirsi imbarazzate, infastidite, o addirittura minacciate dalla vista di due uomini o due donne che si baciano in pubblico. Sul girare nudi per strada, forse ci arriveremo, ma per ora è troppo lontano dalla nostra soglia.
    Quanto alla facilità con cui si associa il “modest swimsuit” con forme di violenza e prevaricazione (se una donna si copre col burkini significa che è costretta o nel migliore dei casi che è vittima di un lavaggio del cervello), io ci andrei piano. Non conosco contesti islamici, ma conosco più da vicino quelli ebraici ortodossi, dove la separazione di ruoli fra uomo e donna ed i codici di abbigliamento sono per molti versi simili. Tutte le donne ebree ortodosse che conosco affermano che coprirsi in pubblico, e rivelarsi solo al marito, è una precisa e libera scelta di rispetto per il vincolo coniugale e di amore per il marito oltre che di rispetto dei precetti religiosi. Certo, possiamo metterla sulla pressione sociale (che può essere fortissima) che rende certe scelte obbligate e quindi insussistenti le presunte libere scelte, ma allora lo stesso vale per moltissimi aspetti anche della nostra società occidentale e – tendenzialmente – laica.

  8. Luca Sofri

    Una risposta per tutti (il primo a scrivermene, cinque minuti dopo, è stato Matteo Bordone): la cintura di castità è un paragone con l’idea del suo uso: che sia un’invenzione non lo rende meno valido e comprensibile, come se dicessimo “è come la kryptonite per Superman”, sappiamo a cosa ci riferiamo. Ma grazie.

  9. ErniTron

    Senza contestualizzare la discussione sul burkini ha poco senso. In una società aperta, ciascuno può fare quello che vuole nel momento in cui non lede diritti e libertà altrui. Sono poche le limitazioni alla mia libertà di un vestito totalmente coprente e se qualcuna vuole metterlo perfino in spiaggia dovrebbe avere questa possibilità. E lo stesso discorso vale per la nudità. Ergo burkini e nudità in una società aperta possono tranquillamente convivere.

    Personalmente non sono in grado di determinare se una donna che decide di coprire il proprio corpo abbia fatto una scelta libera e consapevole o piuttosto condizionata e schiavizzata. O se una donna portata in una spiaggia naturista si spoglia per accondiscendere al compagno o si sente a proprio agio col proprio corpo esposto. Come facciamo a saperlo? E chi siamo noi per deciderlo? In generale esportare la democrazia e la libertà a qualcuno che non vuole essere libero o democratico è difficile. Anzi è arrogante.

    Ora contestualizziamo. A Nizza un uomo ha falciato 87 persone con un camion da 20 tonnellate. Si parla di un folle e di radicalizzazione islamica. Si parla di una serie di attacchi che il radicalismo islamico ha condotto in modo dichiarato alle società cosiddette aperte. Si parla di una religione trasformata (se preferite strumentalizza) in ideologia militante.

    Ora. Quanto sono tolleranti le società aperte e quale è il limite oltre il quale una società si chiude? Quel limite è stato superato e la risposta sociale è il desiderio di limitare quella tolleranza. Che la politica si sia fatta espressione di questo è ovvio. La Francia (campione di libertà, uguaglianza e solidarietà) è in stato di emergenza. Ergo stiamo parlando di questo. Di una reazione popolare, sociale e politica a una serie di attacchi non solo ideologici ma militari.

    Che poi una società (aperta/ chiusa/ socchiusa/ semiaperta) è fatta di persone molto più che di principi astratti. E la reazione delle persone di una comunità che si vede minacciata è razionale perché è reale. Lo diceva Hegel?

    Adesso per coloro a cui piacciono i paragoni estremi ci sono posti nel mondo (uno di questi è molto famoso nel sud della Francia) dove se andate con il costume da bagno vi intimano di togliervelo! Semplicemente i “tessili” non sono tollerati. I naturisti proteggono quel loro spazio (verrebbe da chiamarlo ghetto) e si contendono la libertà con gli amanti del “comune senso del pudore”. Nessuno dei due è una minaccia per gli altri ma quel pezzo di spiaggia è un simbolo ma anche uno spazio fisico da difendere.

    Quindi andiamo al punto fondamentale. La libertà della società aperta va difesa perché minacciata da un sistema ideologico di valori in antagonismo. E la minaccia è ideologica, propagandistica e militare. Punto. Se scompare la minaccia non ci sono ragioni per vietare abbigliamenti, credenze, pratiche religiose di qualunque tipo secondo il principio laico per eccellenza: i confini di diritti e doveri. La società laica ideale tollera perfino le intolleranze.
    Quella reale entra invece in conflitto e ne scaturisce una crisi di transizione (come la chiamava Emmanuel Todd, il demografo francese). In una crisi di transizione tutto può succedere ma solitamente una parte prevale sull’altra. Sperare che si concilino è illusorio.

    Nel tuo paragone, Luca Sofri, siamo come i nudisti che intimano ai tessili di spogliarsi. E’ in gioco la libertà. Questo è il tema del burkini d’estate.

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