Il documentario Amanda Knox, online su Netflix da qualche giorno, e di cui si sta parlando molto, racconta la storia di due persone finite al centro dell’attenzione mondiale e su cui gli autori si accaniscono mostrando gli aspetti più negativi e deboli dei loro caratteri, approfittando della loro vanitosa ingenuità e della storia più grande di loro in cui sono finiti: ma non sono gli imputati Knox e Sollecito, sono il procuratore di Perugia Giuliano Mignini e il cronista del Daily Mail Nick Pisa.
Sono questi due personaggi la rivelazione del film, almeno per chi abbia seguito “normalmente” la storia dei processi sull’omicidio di Meredith Kercher. Amanda Knox e Raffaele Sollecito diventano una specie di cornice, di narratori laterali, di occasione, e la palese simpatia degli autori del documentario nei loro confronti finisce per essere irrilevante: non solo perché è appunto esplicita e sfacciata, ma anche perché il film non parla davvero di loro. Parla di un sistema investigativo e giudiziario e di un mondo giornalistico – estesamente complici e amanti – di cui Mignini e Pisa sono rappresentanti anche fin troppo macchiettizzati: fosse una fiction, uno li troverebbe implausibili. La infantile vanità e il candido autocompiacimento di entrambi per quelli che sono certi essere dei propri grandi talenti o brillantezze (essere un discepolo di Sherlock Holmes e saper individuare il male del mondo il primo, per esempio; e riuscire a ottenere il proprio nome in prima pagina impossessandosi di morbosi diari privati il secondo, per esempio) hanno una tale quantità di ripetizioni e rinnovi, che alla fine lo spettatore conclude che non sia nemmeno colpa loro, dei disastri creati nelle vite delle persone e nell’amministrazione della giustizia dalle rispettive sopravvalutazioni di sé: ma che ci sia qualcosa che non va appunto in un sistema che alleva, nutre e premia queste sopravvalutazioni, piuttosto che il rispetto e la conservazione di regole elementari del diritto e dell’etica giornalistica. È un sistema che da una parte costruisce un investigatore per cui contano di più le proprie sensazioni e il proprio piacersi delle prove e dei principi del diritto, e ne è così abbagliato da guidare l’indagine nei modi più maldestri; e dall’altra costruisce un “giornalista” che spiega, ridacchiando verso la telecamera, che non gli si può chiedere di verificare le notizie, “non è così che funziona, non in questo gioco”. Il prodotto di questo sistema sono le folle linciatrici all’uscita del tribunale.
Ripeto, gli autori del film se ne sono approfittati, maramaldi: hanno messo di fronte ai due uno specchio fatto di telecamere in cui i due si eccitano di sé talmente tanto – quello che pare avere mosso i loro comportamenti in tutta la storia, e probabilmente in altre storie – da non rendersi conto del ridicolo in cui sono stati intrappolati. Il procuratore Mignini guarda compiaciuto e sovrano l’orizzonte dei tetti di Perugia col vento che gli muove la toga, definendosi “profeta in patria”, e non percepisce neanche lontanamente il rischio dell’immagine vanesia, tronfia e vuota che quella scena restituirà sullo schermo. L’immagine che ora, dopo qualche giorno, l’unanime reazione del pubblico sta cominciando a comunicare (e Mignini sta contestando diverse cose): a Nick Pisa poi va ancora peggio. Ma non sono due cattivi: sono due sintomi di qualcosa che è andato storto, ma molto storto, chiunque abbia ammazzato Meredith Kercher.
p.s. vedo ora che Slate usa la stessa espressione nei confronti di Pisa, “sintomo, non malattia”
Autori non autoctoni bensì nordamericani,per questa docu fiction(più fiction che docu,penso).Chiediamoci cosa sarebbe successo se un prodotto del genere l’avessero sfornato in Italia.Trovo sempre orripilante occuparasi di questioni di cronaca in modo vorace e morboso:abbiamo per anni,giustamente,rotto scatole a Porta a Porta,non è che se si manda qualcosa su Netflix allora si è più fichi.Il mio pensier va a Meredith Kercher,di cui nessuno parla più,se non incidentalmente,così come ai suoi genitori-probabilmente “rei” che la signorina Knox fosse american biancaa,e non africana e di colore (a buon intenditor..).Qui quanto scrissi allora su vicenda,in risposta a quanto letto proprio qui:
http://www.lucaspagnoletti.it/2015/03/il-mondo-parallelo-di-un-falso.html
Nick Pisa dovrebbe piacerle, fa storie, giornalismo! Mettiamolo sulle tracce di Elena Ferrante.
devi avere tanta pazienza, luca
@luca glamorana: ho letto il tuo post. Perchè dici che la Knox non ha fatto galera quando invece è stata in prigione 4 anni ?
Ho provato le steso disagio verso il giudice Mignini e il “Gigione” Nick Pisa, troppo compiacimento e troppa autostima. Gli autori di netflix, non so se volutamente, hanno dato un taglio caricaturale a tutti e due mentre il delitto e l’iter giudiziario sono rimasti sullo sfondo.
@andrea61 il mio assunto,perfettamente legittimo,era che lei fosse colpevole(o bisogna per forza essere d’accordo con le sentenze?).Quindi,in base a tale mia legittima opinione,quel refuso-che correggo,grazie-conta poco.Naturalmente ti ringrazio sia per la segnalazione che per aver letto il mio articolo,di cui hai preso non una visione globale,commentandolo,ma una umanissima topica.
@Luca Glamorana: appunto, tu parti da un assunto e probabilmente la topica ne è una conseguenza, io no e mi attengo al processo il quale ha detto che il PM non aveva in mano niente se non un teorema basato su elicubrazioni socio-antropologiche dei due imputati e un piccolo indizio che poi si è rivelato pure di dubbia attendibilità.
Onestamente non mi pare che zoccoleggiare o farsi una canna sia indice di temperamento criminale e che serva qualche cosa di più per condannate delle persone.
@andrea61 Caro Andrea61,-a parte che il fatto che Amanda si faceva le canne l’ho scoperto solo quando ieri ho visto il docu di Netflix(quindi dopo il mio commento qui)- come diceva Andreotti a pensar male si fa peccato ma raramente si sbaglia..e io penso male: cioè che se non fosse stata una cittadina probabilmente sarebbe stata trattata come Guede.Il punto non è se innocente o meno questo lo sa solo lei la sua coscienza etc,non essendo certo una sentenza sinonimo di verità assoluta.E’ stata assolta,è tornata negli Usa,bene,se davvero è innocente le auguro tutte le cose migliori,ci mancherebbe.Ma nessuno può togliermi dalla testa che la giustizia per alcuni è più uguale,tipo la differenza di trattamemto tra un cittadino usa afro e una ragazza usa bianca.Certo,la soluzione più facile è dire che Guede è stato fino a poco fa in carcere perchè lui è colpevole e Amanda no.Una risposta che non mi convince,tutto qui.Ma sicuramente i giudici sono imparziali,e mica si saranno fatti influenzare dalla campagna stampa usa a favore dell’assoluzione,in fondo stiamo parlando degli Stati Unit,una nazione come un’altra,da cui non abbiamo mai avuto dipendenza psicologica,figuriamoci se ce l’hanno i giudici……………………….
On y soit qui mal y pense.
ps: ho scritto “se non fosse stata una cittadina probabilmente sarebbe stata trattata come Guede”; ovviamente tra cittadina e probabilmente,ho dimenticato-anche se si intuiva-di inserire “statunitense”,
pardon il refuso,ma il mio suggeritore personale(caffè pagato) mi fa presente,seppur in ritardo,che,ovviamente,Guede è ivoriano:meglio mi sento…una cittadina usa bianca e un afroamericano,ma nemmeno statunitense bensì della Costa d’avorio….ma,ovviamente,vale sempre il motto che Lei è uguale per tutti.Sulla fiducia.
@Luca Glamorama Si tratta di un documentario, non di una docufiction, visto che non ci sono attori nè parti recitate, solo interviste e riprese delle indagini e del processo. E se Guede e Knox sono stati trattati diversamente è perchè le loro posizioni erano radicalmente diverse. Oh, e Guede non è un afroamericano, è africano e basta.