Giudicare il governo Gentiloni sulla base della scelta dei ministri è o ingenuo o propaganda: detta in poche parole, perché i ministri non sono stati scelti. Erano lì da prima.
La lista dei nomi non è nata dalla ricerca delle figure giuste al posto giusto – per competenze o trattative politiche – ma è la ricaduta delle necessità che hanno generato il governo: che non è un governo, ma una strategia di contenimento. Fatta di tre priorità:
1. Fare la legge elettorale per andare a votare, esigenza condivisa dalla maggioranza del partito di governo e dalle opposizioni in questo momento più forti e ricattatorie (che neanche vorrebbero la legge elettorale, adesso).
2. Gestire quel che c’è da gestire – non poco – da qui alle elezioni.
3. Non dare alibi e strumenti di propaganda e demagogia alle opposizioni.
La priorità 1 poteva solo essere messa a rischio da un governo che mostrasse nuovi progetti e orizzonti, e creasse nuovi temi di confronto politico. La priorità 2 poteva essere affrontata in modo prudente solo conservando nei ruoli chi li stava gestendo finora. La priorità 3 aveva bisogno di non dare materiale da dietrologie e indignazioni agli aizzatori (che aizzano lo stesso, ma sono più in difficoltà, costretti a ricorrere a proteste stantìe e amputati pure del fantoccio Verdini).
Quindi potremmo pure convenire che un “governo Renzi senza Renzi” non è davvero eccitante – a dir poco -, privato com’è della figura più efficace e sovversiva e conservato invece nelle mediocrità imposte dall’appoggio NCD (e nelle poche eccezioni di qualità). Di sicuro lo spostamento di Alfano agli Esteri – dettato da meccanismi similmente prosaici – è davvero imbarazzante, per delle istituzioni, Mattarella compreso, che avevano preannunciato la priorità delle importanti questioni internazionali.
Ma il fatto è che non si può – chi abbia una faccia presentabile, ancora – chiedere di andare a votare presto, e insieme pretendere un governo di nuovi orizzonti e respiri. Delle due una.
E gli attacchi personali a Boschi o Lotti mostrano chiaramente di non avere preoccupazioni per il futuro o per il loro essere all’altezza dei ruoli – probabilmente lo sono – ma solo di soffrire la provocazione della loro sopravvivenza.
Ci sono mille ragioni che arrivano da ogni parte per andare a votare presto, ed è saggio farlo con una nuova legge elettorale (che non sarà così facile fare): un governo ricomposto così – l’unico vero sbaglio è stato cambiarne uno, Alfano: non cambiare poco – è la strategia più prudente per ottenerlo. Chi lo critica in buona fede aveva differenti auspici, simili a quelli dell’Economist: mettere l’Italia in amministrazione controllata fino al 2018, fingere di chiamare l’idraulico per poi dargli la gestione del condominio, sperando andasse meglio che con Monti. Auspicio legittimo, ma è un’altra partita: per chi dice invece di andare a votare presto, la strategia di contenimento Gentiloni è deprimente, ma saggia.