E anche degli anni passati, se è per questo. La sentiamo ripetere nei contesti più diversi da sempre, e la trattiamo come se fosse normale, malgrado sancisca la differenza tra chi pensa al significato delle parole che usa e chi le usa con pigrizia e ignoranza: è “esclusiva” (o “esclusivo”).
Come si sa – basta fermarsi a pensare – vuol dire “che esclude”, ovvero che “chiude fuori”, qualcosa e qualcuno. Già ha quindi una sua sgradevolezza di significato, particolarmente coerente con i tempi sgradevoli.
Ma naturalmente le cose sgradevoli esistono, ed è giusto che ci siano parole che le definiscono: “esclusiva” ha infatti un senso originario fondato nei gerghi del giornalismo, quando è l’aggettivo (poi sostantivato) che indica un articolo – un’intervista, soprattutto – che sia stato realizzato con una concessione da parte di qualcuno data a un solo giornale. Se io ho scoperto come trasformare l’acqua in vino e lo racconto soltanto al Corriere della Sera che ci fa un articolone con la mia foto in prima pagina, gli ho dato un’esclusiva: che non è quindi una scelta del giornale, ma di chi dà la notizia, escludendo gli altri (di solito per un accordo col giornale stesso che lo richiede).
E questo conclude il significato di “esclusiva”. La sua estensione a qualunque articolo o storia importanti pubblicati per primo da un giornale è una sciocchezza: in quel caso non viene escluso nessuno. Per non dire della sua estensione promozionale a qualunque articolo o storia irrilevanti: da tempo leggiamo “esclusiva” accanto ad articoli insignificanti che hanno bisogno di essere dopati, o su giornali che hanno bisogno di bullarsi con i lettori ingenui.
Voi direte: vabbè, saranno mille le scemenze infondate pubblicate sui giornali. Ed è vero, figuriamoci.
Però promuovere qualcosa con l’idea che la sua attrattiva sia che “esclude” è particolarmente scemo – in particolare trattandosi di circolazione di informazioni – e particolarmente simbolico di un uso della lingua alla cieca, col pilota automatico, ignaro del senso delle parole.
Per non dire dell’estensione parallela dell’uso di “esclusivo” come sinonimo di pregiato o privilegiato: una vacanza esclusiva, un resort esclusivo, una festa esclusiva, un’esperienza esclusiva. A parte che, come direbbe Groucho Marx, non si capisce come mai queste cose così esclusive vengano offerte a noi, e ad altre centinaia di migliaia di persone: siamo così adulati dall’idea di essere speciali da non chiedercelo. Ma soprattutto, che mondo di parvenu gretti e sfigati immagina questo tipo di comunicazione, che promuove e costruisce dei desideri basati sul piacere di “chiudere fuori” qualcuno?
Certo, in tempi di contrapposizione tra “chiuso e aperto” se ne possono capire le rinnovate fortune: però allora assumiamocene la responsabilità, come fanno quelli che dicono che bisogna bombardare i gommoni e lasciare l’Unione Europea e recintare le proprie ville e chiudere gli accessi alle spiagge eccetera. Stiamo usando una parola che vuol dire “chiudere fuori gli altri”. Una notevole evoluzione dell’idea del mondo rispetto al precedente “in galera!” (chiuderli dentro), che rilancia il già vacuo compiacimento della minoranza in un compiacimento di minoranza assediata. La parola più stupida dell’anno, e di quelli prima. Buon anno a tutti.