La terza via

Scrivo una cosa che a molti sarà già chiara ma mi sono accorto che non lo è per tutti. Perché tendiamo sempre a ridurre i dibattiti in partigianerie o scontri di curve da stadio, e quando poi abbiamo preso posizioni estreme, di qua o di là, facciamo fatica a tornare indietro.

La discussione ragionevole è su come passare alla “fase due” e su come possa essere fatta la cosiddetta “fase due”: se la si riduce all’alternativa tra mantenere ancora a oltranza gli isolamenti attuali e “riaprire”, è chiaro che ognuno dei due fronti sembri all’altro una compagine di scellerati. Alcuni meno coinvolti non se ne rendono conto, ma le limitazioni in corso sono un sacrificio enorme per molte persone che va ben oltre al “non posso fare una passeggiata”: ci sono sofferenze, ci sono violenze, ci sono traumi psicologici, ci sono bisogni, ci sono necessità economiche, ci sono prospettive che si sbriciolano e futuri catastrofici per le persone e per le comunità più estese, ci sono conseguenze che diventano ogni giorno più gravi. Al tempo stesso, si prospettano tragedie se l’isolamento attuale viene attenuato senza revisioni profonde di come saranno le vite e le attività e le cose: è quasi tautologico che se le misure attuali di isolamento servono a limitare i contagi, le morti, il peggio, nel momento in cui ne togli aumenti i contagi, le morti, il peggio.

Quindi proporrei di evitare di pensare nei termini consueti ma sterili che ci spingono a individuare sventate posizioni estreme per attaccarle più facilmente, e al tempo stesso proporrei di entrare nell’ordine di idee di trovare delle soluzioni per mediare i due fronti di necessità, quello di non morire e quello di vivere: per metterla giù brusca.

È di questo che stiamo parlando, è questo che le persone desiderano: passare da sopravvivere a vivere, in qualche modo da trovare. Ed è per questo che in molti hanno chiesto un piano e dei progetti e qualcuno che se ne faccia carico e se ne dica responsabile, a partire da alcune iniziative necessarie e chiarite già da tempo (maggiore capacità di classificazione dei contagiati, dei contagiabili, dei soggetti a rischio; raccolta e organizzazione coerente e utile dei dati; rafforzamento delle strutture sanitarie dedicate; progettazione di modelli di quarantena di maggior sicurezza; ripensamento della vita sociale e pubblica; gestione duttile delle quarantene).
Non stiamo a prendercela con gli slogan propagandistici (riaprire! chiudere!) a cui qualcuno riduce la questione: è più facile, ma è inutile e controproducente.

Noi nel mezzo, chiediamo che chi è responsabile della vita delle nostre comunità e della progettazione di percorsi e soluzioni (se si capisse chi è, certo) dica se esiste un modo per attenuare le chiusure e gli isolamenti e quale sia, e come, e quando, e ne valuti fattibilità, rischi e benefici; e comunichi e conduca delle scelte, ovviamente adattabili. È quello che si aspettano le persone di buona volontà. Da un pezzo, a dirla tutta.

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