Lo scandalo “a prescindere” per il rapporto di una commissione del Consiglio d’Europa (che non c’entra con l’Unione Europea) è uno dei tanti sintomi rivelatori di come questo paese e le sue istituzioni vivano in un mondo di tromboneria retorica novecentesca disancorato dai paesi a cui una volta potevamo paragonarci. Altri paesi, di fronte ad accuse di profilazione nei confronti delle proprie polizie, cercherebbero di capire su cosa sono basate, se hanno fondamento, e di affrontare le questioni. Tra l’altro non si sta parlando di accuse nei confronti delle maestre elementari italiane di picchiare i bambini – che pure eventualmente andrebbero valutate – ma di accuse di “potenziale razzismo” e abusi da parte della polizia, non esattamente una circostanza inaudita in nessun paese del mondo: “non ci posso credere” non è proprio la reazione che venga più immediata.
Da molto tempo le mie passioni per le serie televisive si sono concentrate sui “crime” e polizieschi britannici: un repertorio enorme e prolifico (Broadchurch forse la cosa più famosa qui) con molte produzioni di BBC, la tv pubblica. Che tra le sue serie ne ha fatte diverse che raccontano e descrivono scontri interni alla polizia, storie di corruzione, agenti al soldo di spacciatori, capi venduti, trasmettendo – accanto a storie di eroi positivi ma incasinati – un’idea molto realistica dei contesti e una denuncia dei comportamenti peggiori. Gli stessi temi sono presenti in molte altre serie di altre produzioni.
Ora immaginate la RAI che fa una “fiction” con i poliziotti corrotti, o violenti, o razzisti. Immaginate una serie in cui la storia siano violenze in carcere contro i detenuti, pur con un agente buono che le combatte e svela.
Ci vuole un bello sforzo di immaginazione. Noi abbiamo il maresciallo Rocca, e le proteste se il personaggio di un poliziotto si fa una canna. E l’indignazione delle istituzioni se un organo internazionale segnala un “potenziale razzismo”.
Non si permettano.