Una postilla

Il mio post di ieri su Israele e democrazia ha generato alcuni commenti su Twitter che mi suggeriscono di provare a rendere più chiare alcune cose, che a me lo sembravano ma evidentemente non lo erano abbastanza (trascuro, per senso della misura e del ridicolo, alcune accuse di antisemitismo o di “odio per Israele”: ma le cito per condividere come stiamo messi).
La lunga premessa del post serviva appunto a dire come sia pericolosa e fuorviante la battaglia sulle definizioni e sulle etichette: quindi quello che mi interessa non è entrarci per partecipare a uno schieramento o a un altro, o per segnare un punto. Ma siccome una parte delle più indefesse difese di tutto quello che fa il governo israeliano usa come argomento che si debba difendere qualunque cosa faccia “l’unico stato democratico” in quella regione (io penso ci siano ragioni ben più solide, ovvie e ragionevoli per difendere Israele, prima fra tutte l’esistenza delle persone che ci vivono), credo sia utile capire e discutere quale sia l’idea di democrazia che si sta proponendo e difendendo e quanto corrisponda a ciò che ne celebriamo.

E ancora, proprio perché le categorie rigide e le etichette sono un pericolo, ho detto che non esiste una definizione universale, automatica e condivisa di cosa sia una democrazia: ogni sedicente “democrazia” ha suoi criteri e convenzioni che limitano l’esercizio democratico (e molte palesi dittature hanno le loro foglie di fico di esercizio democratico). L’esempio più palese è la maggiore età: se si potesse ancora votare solo a 21 anni chiameremmo l’Italia una democrazia? Immagino di sì, pur avendo tolto il diritto di voto a più di un milione di persone. Ogni stato limita l’esercizio democratico libero e universale e crea privilegi e ostacoli, e la cosa da discutere – e che ho discusso – è quali di queste limitazioni (quali, più che quante) siano accettabili dall’idea nobilitante che abbiamo della democrazia.

E la premessa stessa del post, ri-ripeto, era che non ci capiremo mai e non saremo mai d’accordo se non abbiamo chiare queste complessità e quanto le definizioni siano sfuggenti, e come spesso siano usate diversamente di contesto in contesto e da persona a persona. E che se usiamo queste definizioni come slogan (“è uno stato democratico!”) non andiamo lontano, se non nel replicare anche su questo i meccanismi quotidiani delle polemiche di ogni genere. Quindi alle obiezioni che ritengono non sufficientemente condivise le cose che ho scritto e le mie conclusioni – che mantengo – non posso che rispondere che sono d’accordo. Appunto.

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