Le discussioni sulle parole e sulle etichette sono la peggiore cose che capita al dibattito pubblico, ammesso che questo termine – “dibattito pubblico” – significhi ancora qualcosa di serio di questi tempi. E spiego le due maggiori ragioni di questo enfatico giudizio.
La prima è che discutere della definizione di qualcosa in una sola parola non porterà mai a nessun consenso. Feci un po’ di esempi diversi anni fa (censura, satira, guerra, coscienza…): poiché a ciascuna di queste parole ognuno attribuisce sfumature, accezioni, implicazioni diverse – quando non vengono semplicemente ridotte a “buono” o “cattivo” – e poiché due persone non vengono mai attraversate da identici pensieri quando ascoltano la stessa parola, discutere se qualcosa corrisponda esattamente a quella parola non otterrà mai un risultato condiviso. Provate a mettere d’accordo tutti sul fatto che pomodori, piselli o patate siano “verdura”.
La seconda ragione è che discutere delle definizioni è una scorciatoia praticata da moltissime persone per partecipare a una discussione di cui sono molto ignoranti, appiattendone le complessità. E assolvere e legittimare l’ignoranza, piuttosto che incentivare la conoscenza e la comprensione delle cose, è il modo peggiore per arrivare a qualcosa di buono.
Questa premessa – che oggi a proposito di Israele riguarda in particolare i litigi semplificatori sulla definizione del massacro di decine di migliaia di persone, o quelli sull’applicare un nome sudafricano alla negazione dei diritti di una parte della popolazione – spiega anche perché sia infantile e sterile il rinnovato dibattito sul fatto che Israele sia o no una democrazia, così come sta avvenendo. Perché ognuno che ci partecipa ha un’idea sua di cosa sia una democrazia, e perché alla parola sono stati attaccati mille significati nell’ultimo secolo.
Lo chiamo “rinnovato” perché naturalmente esiste da decenni su due piani paralleli: quello degli studiosi e dei giuristi e degli storici, e quello degli avventori da bar ignari del primo; e anche perché – per i primi – ha avuto invece sviluppi legati alla storia dello stato di Israele e agli interventi sul tema.
Non essendo all’altezza della prima categoria di esperti, proverò a rivolgermi alla seconda, con cui mi trovo più a mio agio. Una democrazia è, se stiamo al significato della parola, un sistema i cui partecipanti hanno un ruolo e un potere nelle decisioni che li riguardano (“esercitano la sovranità”, si dice). Ovvero, nella sua applicazione nelle nostre società, un sistema in cui le persone che vivono nel sistema sono libere di votare per i loro rappresentanti che prenderanno decisioni per conto loro, decisioni non limitate da altri poteri se non da quelli a loro volta creati democraticamente.
Tutti gli altri significati di democrazia o di democratico sparpagliati nelle conversazioni correnti sono forzature dialettiche (la tutela dei diritti, la libertà di parola, il rispetto per il prossimo): la parola democrazia non li prevede e sono tuttalpiù il risultato di un’auspicato funzionamento della democrazia associato a un’informazione adeguata degli elettori e a un senso civico e di bene comune a cui dovrebbero essere stati educati dall’illuminismo, dal cristianesimo (nelle società cristiane come la nostra), e da altre benintenzionate idee che gli umani siano stati capaci di concepire e diffondere.
Se dovessimo stare a queste definizioni allargate, Israele non è una democrazia: una gran parte della sua popolazione non gode degli stessi diritti dell’altra, viene sistematicamente discriminata e trattata come un pericolo permanente (se qualcuno si sentisse proprio di dire, qui, che in parte lo è, si porti questa obiezione altrove: cambiare discorso è un trucco non ammesso, e spiegare le ragioni delle cose non smentisce le cose). E non è compatibile con un’idea larga della democrazia lo stesso concetto di stato ebraico (questo è l’argomento maggiore delle discussioni tra studiosi), che privilegia una condizione di nascita per sua stessa definizione, e che poi applica regolarmente questo privilegio, negando i diritti impliciti in uno stato democratico.
Aggiungerei anzi che la democrazia è laica, o non è democrazia: per la stessa definizione di potere del popolo non limitato da poteri che non derivino dalla volontà del popolo stesso. E qui arriviamo alla più palese contraddizione israeliana del significato proprio della parola democrazia: perché se dici “i cittadini votano liberamente” ma poi le limitazioni o gli incentivi a chi possa definirsi cittadino e accedere al voto – limitazioni per le persone che vivono nello stesso paese (e da parecchio, aggiungerei), incentivi per quelle che a volte no – sono opportunamente disegnate per escludere una parte della popolazione e includerne altre su base di nascita o religione, la definizione di democrazia si perde dall’altra parte. Israele fa votare liberamente i propri cittadini ma dopo avere scelto con attente discriminazioni chi possa definirsi cittadino: chiamare questo sistema democratico è come chiamare democratici i sistemi in cui non votavano le donne. Se poi imponi nei territori occupati limitazioni al potere e alla libertà delle persone che ci vivono, e quindi neghi anche lì l’applicazione della democrazia (perché malgrado le persone votino, il loro voto esprime poteri limitati), la tua legittimazione a dirti un paese democratico si perde ulteriormente.
Questo non significa che Israele debba considerarsi una dittatura (però la esercita nei territori occupati), lo dico a scanso degli schematismi binari che sono il secondo disastro del pensiero nel dibattito pubblico. Israele e la regione che ha occupato sono una storia così unica che non è possibile ricondurla a nessuna categoria (per questo, lo dicono pure molti critici di Israele, anche la parola apartheid è superficiale e fuorviante: serve da insulto ma descrive una cosa diversa). Non è niente che abbiamo visto altrove, quello che da un secolo succede lì: ed è quindi difficile e superficiale assegnare – a quello che da un secolo succede lì – delle definizioni generiche e tratte da altri contesti. Però è più chiaro quali definizioni non gli si possano assegnare. Una di queste è democrazia.