La guerra è cattiva

Ci sono cose di cui in Italia è difficilissimo parlare per quello che sono e la discussione è travolta dal superficiale attaccamento a parole vaghe e generiche, spesso usate spregiativamente o enfaticamente per nascondere contesti e sostanze. Gli esempi sono molti: ne elenco alcuni, prima di tornare alla questione delle prediche, degli insegnamenti, del «proselitismo».

In questo decennio, per esempio, ci siamo rimessi a discutere della guerra. Per via della Bosnia, per via dell’Afghanistan, per via dell’Iraq: guerre a cui l’Italia ha partecipato. Ma già mentre le mettiamo in fila ci accorgiamo di quanto siano distanti tra loro, non solo geograficamente, e quanto diversi gli interventi militari internazionali e italiani in ognuna delle tre occasioni. Eppure le abbiamo chiamate tutte: guerra. E non abbiamo più discusso di cosa succedesse in Bosnia, di chi avesse ragione o torto, di chi stesse aggredendo chi, di chi fossero le vittime, di chi e cosa si dovesse difendere, oppure no. Né abbiamo fatto questa cosa, con altre valutazioni e analisi, per l’Afghanistan. O per l’Iraq. Qualcuno ha provato a sottrarre il dibattito alle generalizzazioni e ha parlato di polizia internazionale, intervento militare, missione di pace, partecipazione a un conflitto. Ma niente: sempre guerra rimaneva. E poi ci siamo ricordati che nella Costituzione c’è scritto che «l’Italia ripudia la guerra» e non ci siamo curati di quel che dicono le parole successive e del perché ci siano, quelle parole successive¹. Abbiamo discusso della: guerra. Una, sola, e assoluta, aliena da variabili e contestualizzazioni e buona per ogni occasione. Abbiamo discusso di una parola². E tutto quel che abbiamo concluso è: la-guerra-è-cattiva.

(era un passaggio di Un grande paese, Rizzoli 2011, dentro una riflessione dedicata ai disastri creati dalle semplificazioni dei dibattiti intorno a singole parole)

¹Articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

²Sui pericoli in agguato dietro all’uso non metaforico della parola guerra racconto questa. Poco dopo l’intervento americano in Afghanistan, alla vigilia di un turno di elezioni regionali in Italia, il direttore di un grande quotidiano mi chiese durante una conversazione telefonica come fosse la guerra. Io allora co-conducevo un talkshow di attualità ogni sera in tv, e benché la domanda mi paresse ambiziosa, cominciai a spiegare le difficoltà che incontravamo nell’affrontare quel tema e sottrarlo alle semplificazioni. Ma lui mi interruppe rapidamente spiegando che ciò che voleva era un parere su un’avvenente candidata alla presidenza del Friuli che si chiamava Alessandra Guerra.

 

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