Leggo da alcuni giorni, come molti, i dettagli e i commenti sulla storia della ragazza di un liceo romano che si è sentita insultata dal commento della sua professoressa per come si era vestita: anch’io, come molti, ho pensato di quella frase “vabbè, e che sarà mai”, e mi sono figurato una battuta simile quando ero al liceo – le vite contemporanee ti fanno sentire prossimo e familiare il liceo anche quando sono passati quarant’anni – e mi sono figurato qualche momento di umiliazione, qualche risata, e tutto appoggiato su un rapporto complice tra insegnante e studenti. Anch’io, come molti, mi sono figurato quell’umiliazione sentendomene addolorato e imbarazzato, e solidale con la ragazza. Anch’io, come molti, ho pensato che il rispetto per le ragazze e i ragazzi non esclude che la scuola serva anche a insegnare che ci sono contesti in cui la scelta dei comportamenti è parte del rispetto degli altri e della comprensione del mondo, oltre che di un minimo di sana disciplina rispetto a certe regole condivise: lo ha scritto bene Concita De Gregorio. E anch’io penso che “si poteva dir meglio, va bene”. E anch’io penso che se quella che a me suona come una battuta innocua – soprattutto per quello a cui si è abituati da adolescenti – spinge una ragazza ad andare a protestare dalla preside, forse la sua sofferenza è stata maggiore di quello che penso io, e quella vale, non quello che penso io. E anch’io, come molti, penso che questo sia il genere di cose per cui si protesta contro gli insegnanti che non ci piacciono, e si è indulgenti con gli insegnanti che ci piacciono: distanze e complicità create ed esistenti fanno la loro differenza. E anch’io, come molti, sono un boomer – per un pelo – e anch’io, come molti, ho una figlia giovane e frequenza con licei e teenagers. Con insegnanti, poi, non ve ne parlo.
E anch’io, insomma, come molti, penso in cuor mio di avere mille argomenti, esperienze e opinioni per intervenire con un parere, di qua o di là. Il fatto è che me ne manca uno: non so niente di quella storia lì. Non c’ero, non conosco la scuola, non conosco la ragazza, non conosco l’insegnante, non conosco il suo rapporto con la classe, non vedo la scena, non sento il tono della frase, non vedo l’espressione della ragazza, non ho parlato con lei né con l’insegnante, ho solo visto le interviste circolate.
Le opinioni vengono, da sole, inevitabilmente, e condividerle crea spesso interessanti scambi e riflessioni: ma meriterebbero nella loro espressione – sui giornali, in tv, sui social – una postilla fissa.
“Poi che ne so io”.