Il concetto delle primarie

Sulla Stampa di oggi c’è un avventato articolo da Vicchio nel Mugello. Racconta delle battute e lo spaesamento degli abitanti meno giovani del paese di fronte alle primarie per il sindaco: la notizia e l’ironia dell’autore sono dedicate al fatto che un paese di 4000 persone abbia delle primarie con sei candidati. E si riferiscono commenti del genere “una volta era tutto più facile, decideva il partito, e i candidati non litigavano tra loro in pubblico”.
Solo che le resistenze e le disabitudini ottengono dall’articolo molta indulgenza e solidarietà, piuttosto che essere raccontate come un tratto di colore sulle cose che cambiano. Come se fosse davvero bizzarro che si facciano delle primarie e ci siano sei candidati: ovvero delle vere primarie, con vera concorrenza, senza un risultato predeterminato, e con le persone che scelgono il loro preferito (scelta ancora più significativa in un posto dove tutti conoscono bene i candidati).

Le primarie – a cui non bisogna appassionarsi come un totem: la democrazia diretta e quella rappresentativa hanno un giusto equilibrio – sono esattamente questo. La possibilità di scegliere chi poi deciderà per noi (e a quel punto decide: non si fanno altre primarie o referendum ogni volta che bisogna prendere una decisione), tra più offerte possibile. Che i simpatici anziani dei bar di Vicchio – di cui la Stampa riesce a farmi sentire persino l’accento e i mugugni, per bravura dell’autore – lo trovino strambo è normale e interesante: che lo trovi strambo la Stampa stessa, meno.

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