Non avete ancora visto niente

(Questa è la versione estesa della conversazione con Clay Shirky pubblicata sul nuovo numero di Wired)

Clay Shirky pensa che la rete sia una cosa meravigliosa. E che scambiarsi le foto dei gatti in rete sia meglio che stare seduti sul divano davanti alla tv. Passivi.
Luca Sofri ha cercato invano di convincerlo che si possa fare di più, parlando di Obama, porno sugli aerei e festival di Sanremo.

Non so come dirtelo, Clay.
Cosa?
Ieri sera qui un italiano su tre era davanti alla televisione. E  dodici milioni – uno su cinque – hanno passato la serata guardando un concorso di canzoni, si chiama Festival di Sanremo.
Ma almeno votavano?
Sì, votavano con gli SMS.
Beh, meno male. Questo Sanremo lo guardano i giovani?
Il pubblico di queste cose in Italia è abbastanza maturo, diciamo. Ma qui forse c’erano anche i giovani.
Sai, queste nuove occasioni televisive in cui il pubblico è coinvolto attraverso il voto da casa attraggono molta partecipazione. Sarebbe stato peggio se non ci fosse stato il televoto.
Tu però sei un po’ integralista con questa cosa che non possiamo rilassarci un attimo a guardare la tv: in quel tuo famoso articolo che ha fatto il giro del mondo fai capire che ogni minuto in cui guardiamo la tv piuttosto che arricchire Wikipedia è un minuto buttato.
Ma no, non dico questo. Dico che qualsiasi sostanza è velenosa in grandi quantità. La questione con la tv non è se guardarla o no: ma capire come sia diventata una specie di babysitter del mondo. Venti ore alla settimana o più di tv? Non è un po’ troppo?
Questa però non è un’analisi nuova…
Certo che no. Tra il 1950 e oggi la tv è diventata il mezzo, il più potente nella storia del mondo. E quello con la potenza di assorbimento più totalizzante. La radio non creava quello stato vegetativo nell’ascoltatore.
E tu quindi dici che “è meglio fare qualcosa che non fare nulla”. Nel tuo libro fai degli esempi di partecipazione che attraverso la rete hanno reso possibili archivi fotografici creati dal basso, o ricerche mondiali di un telefonino perduto. Tutte belle storie, ma hai anche esempi moralmente e concretamente più proficui? Iniziative partecipate impensabili prima, e che migliorano il mondo?
Ce ne sono moltissimi. L’anno scorso i fans di Josh Groban, il cantautore, hanno aperto una fanboard per fargli un regalo di compleanno: la raccolta di fondi per un progetto a favore degli orfani in Sudafrica. Hanno raccolto quasi cinquantamila dollari organizzando la cosa tra di loro e attraverso la rete. Senza gli strumenti della rete non ci avrebbero neanche potuto pensare. E quest’anno lo hanno rifatto. Ma non sottovalutare I progetti spontanei di condivisione apparentemente meno “importanti”.
Tipo?
Anche quando le persone fanno picccole fesserie frivole – mettere su Flickr foto di gatti e commentarle ed archiviarla asseieme – è meglio per me che stare a guardare la tv.
Dici? Non sarebbe meglio utilizzare quegli strumenti e quelle disponibilità per far qualcosa di più creativo, o più utile?
Se vedi il bicchiere mezzo vuoto e hai una visione utopistica del mondo per cui tutti potremmo fare grandi cose, le foto dei gatti sono una perdita di tempo: ma per come la vedo io è meglio che guardare la tv.
Così la fai facile, e suona bene. Ma non è che condividere le foto dei gatti genera un’infondata consapevolezza di partecipazione, un alibi per non fare altro? Se sto davanti alla tv almeno so che sto buttando via il tempo e mi sento in colpa…
Tu sei troppo ambizioso. Ti ripeto che è meglio fare qualunque cosa, sempre. E poi ognuno sceglie cosa fare degli strumenti che ha a disposizione, sta a noi farne l’uso migliore.
Già, ma il grande successo di Facebook in Italia è spinto dal messaggio che ci puoi trovare i compagni di scuola. Non sarebbe meglio spiegare che ci si possono fare grandi cose?
Ma si fanno grandi cose con Facebook! In California grazie al lavoro su Facebook hanno portato al voto a molti immigrati che neanche sapevano di averne il diritto. La partecipazione è questo, il creare delle iniziative dal basso e usare gli strumenti per farle crescere.
Non pensi che anche le élites abbiano il dovere di educare le masse? Non ridere, era una citazione. Capisci cosa intendo?
Sì. Ma non penso che internet sia utile in questo senso. Non credo sia questo il modo di sfruttarla. Io non credo alla perfezione e alle utopie e alla loro diffusione. Credo che il miglioramento sia in queste nuove opportunità.
Ma a non dovremmo farci qualcosa con questo miglioramento?
Dipende da chi siamo noi. Non credo che la società debba orientare o insegnare le cose, ma se parliamo di persone come me e te, e di cosa possiamo fare con le nostre idee: prendi Beppe Grillo e i suoi Meetup. Io non so come lo vediate in italia, ma non mi pare che le cose che ha fatto abbiano avuto molto sostegno dalle èlites
Questo è vero, ma io credo che quello che ha fatto Beppe Grillo sia stato un po’ frainteso dalla stampa internazionale. Qui però dovremmo discutere di Beppe Grillo e magari lo facciamo un’altra volta. Tu quindi pensi che l’uso del web nella comunicazione politica non sia un bluff…
No, non lo è. Basta avere chiaro di cosa si parla. La campagna di Obama ha dimostrato che era falso che il web servisse per il fundraising e non per l’organizzazione. Lui non ha educato le masse, ma ha usato un sistema di strumenti online per organizzarle e mobilitarle. Nel 2006 (alla vigilia dell’annuncio della candidatura, ndr) nessuno avrebbe scommesso un centesimo su un presidente nero. E la ragione della rivoluzione è stato il suo uso dei social media. In America i giornali hanno questo mito della neutralità: se solo i media tradizionali avessero seguito Obama e la sua campagna, gli elettori avrebbero continuato a percepirlo come un alieno senza una chance. Sono cose come i video di Will.I.Am e Obama Girl che hanno contribuito a renderlo un candidato plausibile.
Dici che se McCain avesse sfruttato la rete allo stesso modo avrebbe avuto più chances?
McCain ci ha provato a usare il web in qualche modo, per raccogliere fondi. Ma ha messo sul suo sito delle cose preconfezionate che i suoi sostenitori potessero copiare e incollare sui blog, perché non si fidava dei suoi supporters. E questo non è un invito a partecipare. Non ha lasciato che costruissero loro la campagna.
Nel tuo libro smonti anche il mito dell’inaffidibilità degli utenti nelle iniziative partecipate. Dici che tu stesso hai perso pochissimo tempo a correggere cose false trovate in rete che avevano richiesto invece molto impegno per essere prodotte. Ma tu riesci a gestire in modo equilibrato tutte le cose diverse che la rete ti consente di fare, e il tuo tempo?
Il web è una macchina da distrazione. Sempre, quando si passa da un uso occasionale a un uso continuo di una cosa nuova, bisogna trovare un modo per mantenere l’attenzione e la concentrazione e non venirene travolti. C’è sempre un periodo in cui un nuovo media diventa disponibile abbondantemente in cui ne veniamo assorbiti, e il problema è reale.
A chi lo dici.
Non hai ancora visto niente. Ora mettono il wi-fi sugli aerei. La gente guarderà dei porno in volo sul Pacifico. Ma io credo che troveremo dei modi di adattarci.
E il tuo modo qual è? Come hai fatto a scrivere il libro, per esempio?
Ho fatto un paio di cose. Intanto ho tagliato molte letture: giornali, riviste, newsletter.
E quando fai così non hai paura di perderti qualcosa, che magari ti servirà?
Sì, e succederà per forza: ma ti devi abituare all’idea che non saprai mai tutto. È un’illusione da abbandonare quella per cui puoi seguire tutto quello che avviene.
No, io ci credo. Posso farcela. Anzi ora dovrei lasciarti…
E poi ho trovato degli spazi sicuri. A volte sono rimasto sulla metropolitana per due ore, perché mi distraevo meno che stando sul web. Facevo il giro completo della linea. Bisogna sapersi volontariamente staccare da tutte queste cose.
C’è un modo di dire, “vivi la vita appieno”: ma non sanno quanto può essere piena la vita. Invece devi abituarti all’idea che in ogni momento ci sono più cose belle da fare di quante ne potrai mai fare in tutta la tua vita. È frustrante, ma è la verità.
Senti, dimmi la verità: che ne pensi di questa idea di fare un’edizione italiana di Wired , di carta, nel 2009?
So che lo fanno anche in Inghilterra. Penso che anche se le cose stanno cambiando, c’è un mercato pubblicitario che per ancora alcuni anni può dargli senso. Non tutto si può avere dal web: se vuoi delle immagini molto belle, per esempio, devi andare sulle riviste.
Già, ma con tutte le cose che trovi sul web, magari te ne dimentichi di quello che non c’è. Pare che il problema sia anche questo.
Lo so, e non faccio previsioni rosee, ma è stupido pensare che la carta sia finita. A lungo termine le cose cambieranno, ma il lungo termine potrebbe essere molto lungo. Vale la pena tentare. Avete fatto bene.

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