Chi ha perso, su “Mafia capitale”

Ricapitoliamo, ci sono tre notizie nella sentenza del processo alla cosiddetta “Mafia capitale”.

1. Sono stati condannati molti degli accusati, e confermate le accuse e i reati individuati dall’accusa. Notizia numero uno.

2. È stato negato il tratto mafioso di questi reati, così come è definito giuridicamente (ovvero il solo modo di definirlo che conti in un processo), sostenuto dall’accusa. Notizia numero due.
(per soprammercato aggiungo: nessuno ha sostenuto che “a Roma non ci sia la mafia”, in altri contesti; e nessuno ha sostenuto non ci sia corruzione in Comune, anzi la sentenza lo ha dimostrato)

E veniamo a quella che mi pare la notizia numero 3, evidenziata in particolare da un’intervista al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone pubblicata oggi da Repubblica. Ovvero che è il concorso di giornali e politici interessati ad aver fatto sì che la notizia numero 2 sia diventata la notizia numero 1. Vediamola con ordine.
Dice Pignatone, con il quale Carlo Bonini insiste molto per un’ammissione di sconfitta (e Pignatone articola con efficacia “non ho una concezione agonistica della giustizia”: ma Repubblica inventa lo stesso il titolo “Ho perso”); dice Pignatone:

Non penso debba rispondere il mio ufficio di chi ha usato politicamente i fatti che la nostra inchiesta ha fatto emergere.
È successo però.
È successo. Ma non siamo noi i responsabili dell’effetto mediatico di un’inchiesta.

In queste risposte ci sono una cosa vera e una cosa falsa.
Figuriamoci se puoi dirti non responsabile dell’effetto mediatico di un’inchiesta che tu hai deciso di chiamare “mafia capitale”, usando questa formulazione decine di volte nei suoi atti.

Mafia Capitale, volendo dare una denominazione all’organizzazione, presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui richiamati, ma, come si cercherà di dimostrare nella esposizione che segue, essa è da ricondursi al paradigma criminale dell’art. 416bis del codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, ovverosia della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza, per il conseguimento dei propri scopi.
Essa presenta, in misura più o meno marcata, taluni indici di mafiosità, ma non sono essi ad esprimere il proprium dell’organizzazione criminale, poiché la forza d’intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali che delineano un profilo affatto originale e originario.

Al di là dell’ambiguità a momenti incomprensibile del linguaggio, queste cose le ha dette Pignatone, e non è equivocabile il rilievo dato dall’inchiesta alla questione della “mafiosità” dei reati, questione che, ricordo, è importantissima perché ne dipende l’applicazione di regole diverse ed eccezionali in contesti in cui non le abbiamo mai – con buone ragioni – applicate.

Però Pignatone dice anche una cosa vera e legittima, anzi due: su “chi ha usato politicamente” l’inchiesta e sull'”effetto mediatico” sproporzionato dell’inchiesta. Sarebbe stata più vera, la seconda, se avesse detto quindi “non siamo gli unici responsabili” (sul Corriere la mette un po’ meglio, un po’).
Della prima cosa in parte ha scritto Mattia Feltri ieri sulla Stampa. Dico in parte perché credo che l’uso delle inchieste da parte dei giornali sia a sua volta un “uso politico” non diverso da quello praticato dai politici: li chiamerei entrambi “usi strumentali per i rispettivi interessi”.
E la seconda cosa, infatti, è dimostrata facilmente mettendo accanto l’uno all’altro l’involuto ma sobrio testo di cui sopra di PIgnatone, e questa prima pagina di Repubblica – una di molte – ripresa ieri impietosamente dal Foglio.

Quindi, quando l’altroieri è stata comunicata la sentenza, la notizia numero 3 è stata un po’ trascurata da molti giornali – per comprensibili e colpevoli ragioni – e proprio per questo vale la pena ricordarla, e spiegarla esattamente.

Quella sentenza non smentisce la tesi della procura, e dei giornali – non solo Repubblica, naturalmente – che vi avevano aderito. Quella sentenza smentisce una parte della tesi della procura e invece umilia i giornali che l’avevano gonfiata di dosi massicce di sensazionalismo, terrorismo e demagogia giustizialista, dosi di cui hanno scorte immense e che ne costituiscono la comune linea editoriale: che l’altroieri è stata di nuovo rivelata, di nuovo punita, e di nuovo esentata da qualunque sanzione, ripensamento o revisione. Oggi è già un altro giorno.
Per questo, quando Carlo Bonini – che ha fatto un’ottima intervista – chiede a Pignatone “ha ragione chi dice che questo processo ha un solo sconfitto e quello sconfitto è lei?”, Pignatone avrebbe dovuto rispondere.

Direi due, dottor Bonini…

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Un commento su “Chi ha perso, su “Mafia capitale”

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