Seattle

Anche a Seattle c’è uno sciopero dei giornalisti. C’era, fino a ieri mattina. Lo sciopero dei giornalisti di Seattle è diverso da quelli italiani. Somiglia un po’ agli scioperi che si vedono nei film americani, neanche a farlo apposta. Seattle ha due grossi quotidiani che si contendono i lettori della città, il Times e il Post-Intelligencer. La competizione tra i due  104 anni e 225 mila copie il primo e 137 e 175 mila il secondo è tosta, e molti temono che presto anche Seattle avrà un solo grosso quotidiano, ma nessuno scommette su come si chiamerà. Soprattutto da quando il News ha deciso, dieci mesi fa, di abbandonare l’uscita pomeridiana e combattere i rivali sulla stessa edizione mattutina. La paura è tale che le due proprietà hanno stipulato un accordo: se uno chiude, quello che sopravviverà passerà un terzo dei profitti all’altro fino al 2083. Il Post-Intelligencer appartiene alla famiglia Hearst, quella di Randolph Hearst, Patti Hearst e Quarto Potere. Il News è diviso tra un 51 della locale famiglia Blethen e un 49 di un’altra catena di giornali, Knight Ridder, che da tempo vorrebbe papparsi anche il resto ma i vecchi proprietari tengono duro. Con punte romantiche in cui Ridder dice “se la maggioranza fosse nostra il giornale guadagnerebbe più” e Blethen risponde “ci rifiutiamo di fare un giornale mediocre”. I rapporti tra i due giornali sono ulteriormente complicati dal fatto che stampa, diffusione e pubblicità del Post-Intelligencer sono gestiti dal News (in Italia, la Mondadori pubblica Panorama e distribuisce l’Espresso).
I dipendenti dei due giornali  le redazioni, la pubblicità, la diffusione e altri settori, hanno il contratto scaduto da luglio dell’anno scorso. Chiedono più soldi, che gli editori non vogliono concedere. Oggi la paga minima di un reporter con sei anni di anzianità è di 21 dollari e 12 cents l’ora, o 844 dollari la settimana, che sembra una bella cifretta (si tratta di un minimo). Ma, si sa, la vita a Seattle è molto costosa. Gli editori offrono un aumento di tre dollari e trenta l’ora, nell’arco dei prossimi sei anni. I giornalisti chiedono quasi il doppio (6 e 15), più altre concessioni minori. E lo scorso 21 novembre, non ottenendo una virgola da mesi, sono entrati in sciopero. Entrati in sciopero, non un giorno di sciopero o due giorni di sciopero. Sono in sciopero da cinquanta giorni. Con i picchetti davanti alle sedi, i cartelli, i falò improvvisati per scaldarsi (temperatura media a Seattle a dicembre, 4 gradi), i turni, i cittadini di Seattle che si fermano a solidarizzare, discutere, a portare i cartoni con le pizze e la legna da ardere. Mille aderenti al sindacato che partecipano allo sciopero fregandosi le mani dal freddo e con il vapore che esce dalle bocche .
I due quotidiani non hanno interrotto le pubblicazioni. I numeri sono diventati assai più smilzi e mediocri, ma grazie a chi ha deciso di continuare a lavorare (un quinto degli iscritti al sindacato) e a nuove assunzioni, sono in edicola ogni giorno. Per un po’ sono anche usciti gratis. Gli scioperanti hanno ricostruito una redazione e pubblicato un quotidiano in proprio, il Seattle Union Record, e hanno chiesto ai cittadini di Seattle di boicottare i due giornali maggiori. I quotidiani locali più piccoli hanno aumentato di molto le vendite.
La situazione è stata vivace e battagliera per qualche tempo, poi un clima di tristezza e paura si è aggiunto al freddo pacifico. Il Times e il Post-Intelligencer hanno perso copie e inserzioni, proprio sotto natale quando i guadagni sarebbero stati più ricchi. Frank Blethen, ritenuto da molti dipendenti un bravo editore illuminato, si è sentito tradito dai suoi, e i giornalisti si sono sentiti traditi da lui. In una lettera pubblicata sul Times ha scritto “Abbiamo costruito questo giornale insieme e senza di voi non è lo stesso”. Le redazioni si sono dibattute tra l’attaccamento al giornale e la solidarietà con i colleghi più sfavoriti dalle norme contrattuali. L’ultimo sciopero della stampa in una grande città (a Seattle datava al 1953) fu a Detroit nel 1996, durò diciannove mesi e i giornali colpiti persero un terzo dei lettori che non hanno più riguadagnato. Il suo spettro veniva evocato sempre più spesso. E a Seattle gli editori non cedevano di un millimetro. “Ho visto la prospettiva di avere un solo quotidiano in città avvicinarsi paurosamente”, ha detto la senatrice democratica dello stato di Washington Patty Murray, che si è presa la briga di sbrogliare la matassa, sotto natale. Ma le due parti non collaboravano e la situazione diventava sempre più drammatica, con mille lavoratori fermi e senza paga (un fondo sindacale è stato creato alla bisogna) che temevano di non trovare più il proprio lavoro. Anche la città era divisa tra la solidarietà ai giornalisti con cui è familiare, e il disagio di avere tre quotidiani, ma non uno decente. 
Così, l’oggetto della contesa è diventato giocoforza lo ristabilirsi della situazione precedente e la salvaguardia dei posti. Alla vigilia di capodanno i dipendenti del Post-Intelligencer hanno accettato gli aumenti proposti dalla proprietà strappando concessioni su altre questioni minori, e sono tutti tornati al lavoro. Ma per quelli del Times  un giornale che ha vinto sei premi Pulitzer negli ultimi 25 anni – la situazione si era aggravata. L’editore aveva assunto 68 persone per fare il giornale durante lo sciopero e non aveva intenzione di restituire quei posti; in più, annunciava che le perdite subite durante lo sciopero (indicate in diversi milioni di dollari) lo costringevano a licenziare 250 tra quelli che avevano scioperato. E la ripresa delle pubblicazioni da parte dei rivali faceva paura. Alla fine la senatrice Murray ha convocato le parti nel suo ufficio di Washington. Per la prima volta è arrivato anche Frank Blethen in persona. Dopo tredici ore, alle tre del mattino di giovedì scorso, sono usciti con un accordo. Il sindacato accettava esattamente lo stesso aumento contestando il quale era entrato in sciopero, 3 dollari e 30 l’ora in sei anni. In cambio vedeva soddisfatte altre richieste come una maggior copertura assicurativa, miglior trattamento salariale per i giornalisti delle redazioni extracittadine e migliori incentivi per la pubblicità. E soprattutto la riassunzione entro tre mesi di tutti i dipendenti in sciopero (salvo una parte a cui verranno offerti pensionamenti e liquidazioni favorevoli), con il reimpiego in altri settori di quelli assunti durante lo sciopero. L’assemblea del Times, ieri mattina, ha approvato l’accordo 359 favorevoli contro 116 contrari, che la dice lunga sul controverso risultato di questo sciopero. Ma i leader deigiornalisti hanno detto delle cose molto da film americano, molto retoriche, e che solo gli americani sono capaci di rendere vere: “Abbiamo guadagnato rispetto, abbiamo ricevuto la solidarietà della città, siamo diventati uniti e ora sappiamo trattare”.
“Siamo felici di essere una squadra”, ha detto il presidente del Times Sizemore, un attimo prima dei titoli di coda: “E ora facciamo un grande giornale”.

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