Non esistono più romanzieri come Hemingway. La vita un romanzo, i romanzi la vita. La guerra, l’avventura, il coraggio, le passioni, quella roba là. I tempi sono cambiati. I grandi scrittori sono tutti un po’ anzianotti o assorti nelle loro letture. E forse l’avventura non esiste più, ma ce li vedete Umberto Eco o John Grisham o Dave Eggers a ubriacarsi al porto di Marsiglia o arruolarsi da qualche parte, che parti ce ne sono sempre, e anche porti? I tempi sono cambiati, la letteratura è altro, l’editoria è altro, la vita è altro. Poi c’è Palahniuk.
Chuck Palahniuk, ci sono quelli che sanno chi sia perché hanno letto i suoi libri. Non sono molti, quelli che leggono i libri, figuriamoci quelli che leggono i libri di Palahniuk, che pure in America è passato da scrittore di culto a scrittore di best-seller. Poi ci sono quelli che non sanno chi sia, ma che fanno “ah, l’ho visto!”, quando dite loro che Palahniuk ha scritto “Fight club”, il romanzo da cui venne tratto un film con Brad Pitt. Il film andò così e così all’inizio, poi svoltò e si rifece soprattutto in video, grazie all’idea eccitante del libro: la storia dei giovani maschi contemporanei che non trovando più niente che li faccia entrare nell’età adulta, che li faccia diventare uomini, organizzano sanguinosi combattimenti a mani nude, machisti e militareschi. Palahniuk ha raccontato spesso che lui e i suoi amici sono così, hanno bisogno di creare competizioni, di gasarsi, di sfogarsi, anche di fare a botte.
Ma se Hemingway scelse anche il modo tragico e violento per mettere fine alle sue avventure, a Palahniuk le cose peggiori e più atroci sono capitate senza che potesse scegliere. “Forse c’era una vena di pazzia nella famiglia e aspettarono che avessi vent’anni per lasciarmelo sospettare”. A quell’età suo padre gli raccontò che il nonno aveva ucciso la nonna a colpi di pistola e poi si era sparato, mentre lui, il padre, andava a nascondersi sotto il letto. Poi successe la cosa più terribile, tre anni fa, in cui nessuna pazzia familiare ebbe colpa, a meno che qualcuno non consideri da pazzi conoscere qualcuno attraverso gli annunci personali. Suo padre conobbe così una donna e uscì con lei. Al ritorno a casa, l’ex marito di lei li uccise entrambi e poi bruciò i corpi nel garage.
Palahniuk era già uno scrittore noto, allora, e aveva smesso di lavorare ai motori dei camion in una fabbrica di Portland. Fight Club era uscito nel 1996. Adesso Mondadori pubblica “Soffocare”, uscito in America l’anno scorso, straordinario racconto di eccessi, trasgressioni e follie, ambientato con cinismo e ironia ma anche con un improbabile vena di sentimentalismo in un futuro quasi presente. Per dare un’idea della potenza di fuoco inventivo dell’autore, si può raccontare che il protagonista Victor frequenta un centro di cura delle dipendenze sessuali, e negli intervalli dei corsi si accoppia con le assistenti sociali nei bagni del centro. Il corso prevede che si trascriva una ricostruzione della propria dipendenza, e da qui viene il libro. Dentro ci finiscono: l’infanzia sciagurata di Victor con una madre ecoterrorista ante literam, la sua pratica di soffocamento impostore nei ristoranti per essere poi salvato da qualcuno che gli vorrà bene e lo aiuterà economicamente, il lavoro da servo in una ricostruzione per turisti di un villaggio del 1734, il mantenimento con queste entrate della madre ricoverata in un ospizio gonfio di rimbambimenti senili, cibo masticato e incontinenze, una imprevista love-story con una misteriosa dottoressa, l’illusione di essere nato dalla clonazione di una cellula del prepuzio di Gesù Cristo e quindi di essere Gesù reincarnato, e pratiche sessuali disparate con particolare attenzione alle toilettes aeree e alle inserzioni rettali. Suona molto sgradevole, vero? Beh, dipende dal vostro senso dell’umorismo, che è quello che sostiene questa successione esilarante di avventure. Ma “Soffocare” non è un libro comico, quanto un modo di raccontare come sono fatte le persone nei nostri mondi, o come saranno fatte tra poco, e come i loro bisogni facciano fuori ipocrisie e regole che riteniamo consolidate. E come tutto questo non abbia alcun senso.
Mentre da noi esce “Soffocare”, Palahniuk ha già pubblicato il suo nuovo roimanzo, “Lullaby”, in cui sono riconoscibili molte delle sue cose dei libri precedenti. Anche qui la storia è surreale e apocalittica: un giornalista scopre che la semplice lettura di una antica ninna nanna africana può uccidere chi la ascolta, e decide di approfittarne per eliminare i più disparati eliminabili a suo giudizio. Intorno, un circo visionario di vendite immobiliari di case infestate, ecoterroristi e necrofilie. Palahniuk ha scritto “Lullaby” durante il processo all’assassino di suo padre, poi condannato a morte. Richiesto di un parere di parte sulla pena, chiese la sentenza capitale. A Rolling Stone ha spiegato che “è un sentimento umano. Vorremmo sempre eliminare i problemi eliminando le persone, liberandosene. Io ero vegetariano, contro l’uccisione superflua di esseri viventi, e al tempo stesso volevo che quel tipo morisse”. Il tipo fu condannato a morte e ha fatto appello contro la sentenza. In “Lullaby” il tema del desiderio di eliminare le persone che ci creano ansie e problemi è svolto assieme a una riflessione sulla potenza della comunicazione. La ninna nanna è come un contagio mortale che si tramanda per via acustica, più potente di qualsiasi virus reale e informatico che abbiamo mai visto. “Ero colpito dalla velocità con cui le informazioni si formano e vengono diffuse da internet, e da come le nostre menti sono riempite costantemente da messaggi. Mi fa paura che presto saremmo delle semplici trasmittenti-riceventi di informazioni”.
Palahniuk ha 40 anni, una faccia da bandito, e i bicipiti anche. Suo padre lavorava con le ferrovie e appena aveva notizie di un deragliamento portava i bambini a saccheggiare i treni merci. I suoi libri, la sua vita, e l’esaltato ambiente di “Fight Club” ne hanno fatto uno scrittore di culto, idolatrato da decine di siti web. Oltre che un fantasioso inventore di storie, è un grande scrittore, di una scrittura originale e riconoscibile, priva di avverbi e perdite di tempo. Improvvise interruzioni. Ripetizioni a effetto. Eliminazione del superfluo. Battute drastiche, fredde. Non scrive come Hemingway, no. Dai tempi del college vive a Portland, e la settimana prossima sarà in Italia: il 15 novembre presenterà “Soffocare” a Milano introdotto da Fernanda Pivano, a chiudere il cerchio del paragone iconoclasta.