Dice: tu parli molto delle parole e poco della musica. A parte che le parole sono importanti, come dice quello. Ma della musica non si può scrivere, non si può parlare. Cioè, si può, sapendo che è uno sforzo perdente, che sarà sempre incompleto, che non si spiega la musica. Ci si prova (io ci provo di nuovo nella pagina dopo questa), se ne dice qualcosa, e si spera sempre soltanto che qualcosina sia chiaro. Con le parole è diverso, tautologico. Le parole sono parole.
Insomma, è una sera di primavera e questo giovanotto non riesce a prender sonno e così si aggira per la città e finisce sotto il portone della sua ex. Si sono lasciati un anno prima, ma lui ancora non ne è uscito. La pensa. Non dorme. Sai che faccio? Suono e le faccio un’improvvisata. Suona, lei tentenna, lui insiste, lei apre. Lui sale, e la passione contenuta in un anno scoppia in una dichiarazione commossa e conquistatrice, di quelle che ci è capitato a tutti e che anche se con le parole eravamo molto più schiappe, ci convincevamo in quel momento che lei non avrebbe potuto resistere, che tutto era come prima, che ora che eravamo di nuovo assieme eccetera. Insomma, le dice così: “solo, credevo di volare e non volo, credevo che l’azzurro di due occhi per me, fosse sempre cielo, non è, fosse sempre cielo, non è”. Guardate che “solo, credevo di volare e non volo” è un capolavoro sentimental-fonetico praticamente unico.
Comunque: sempre più certo che tutto sia all’improvviso tornato com’era, le dice: “posso stringerti le mani? Come sono fredde, tu tremi. No, non sto sbagliando: mi ami. Dimmi che è vero, dimmi che non siamo stati mai lontani, dimmi che è vero, che ieri era oggi, e che oggi è già domani, dimmi che è’ vero”. Le dice così.
Adesso, molti di voi avranno già capito come va a finire. L’avete già sentita. Ma fate finta di no, anche voi. Fate finta di essere lì, in ginocchio e in lacrime di gioia, posseduti dal pensiero di un futuro felice, che vi pare che petali di rosa cadano dal cielo e scemenze così. State facendo finta? Bene, Fermi lì.
Si apre una porta, probabilmente una porta che conoscete, che avete aperto molte volte: nel peggiore dei casi la porta della camera da letto. E appare un uomo, un uomo che non conoscete: nel peggiore dei casi in accappatoio (nel peggiore dei casi un accappatoio che conoscete).
E allora: “Scusa, credevo proprio che fossi sola. Credevo non ci fosse nessuno con te. Scusami tanto, se puoi”. Che vergogna. Ma il peggio deve venire: “Signore chiedo scusa anche a lei, ma io ero proprio fuori di me. Io ero proprio fuori di me quando dicevo: posso stringerti le mani, come sono fredde, tu tremi, non, non sto sbagliando mi ami, dimmi che è vero”.
Signore-chiedo-scusa-anche-a-lei. Allora, non so se avete presente “Ritornerai” di Bruno Lauzi. È una canzone molto bella, ma imbarazzante perché si capisce che lei col cavolo che ritornerà, e si immaginano anche i posti dove possa invece essere. E l’immagine di Bruno Lauzi che la convinca a tornare non è credibilissima. Insomma è triste, e uno si commuove e sta male per lui.
“Fiori rosa fiori di pesco” è diverso: uno sta male per tutti gli uomini del mondo.
Posso stringerti le mani?
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