Alla quarta puntata, la meraviglia per lo show di Fiorello, passa. È come le giornate di sole a Milano. Alla prima, sei tutto contento, e ti rallegri della fortuna. Alla quarta, cominci a trovarlo normale, e ti dici: è così che dovrebbe essere sempre. E te la prendi allora con quelle giornate grige e fetenti a cui la città ti sottopone abitualmente. Ti arrabbi anche un po’ con te stesso, che ti sei così adeguato al grigiore da trovare straordinaria una giornata di sole.
Vedi la ricerca di inquadrature diverse, vedi le idee per rendere vivace il rapporto con gli ospiti, vedi i montaggi prima degli spot e sui titoli di coda, vedi la capacità di sfruttare un meccanismo ovvio e vincente con il pubblico – le canzoni, il giocarci, e quanto entrano nelle nostra vite – , vedi l’idea del dentro e del fuori, vedi l’inventarsi un rapporto con la scena e con il maxischermo, vedi l’aver pensato a scaricare i soliti balletti stantii in favore di una coreografia che fuori dalla televisione era nuova venticinque anni fa, vedi tutte queste cose e ti sembrano normali. Ti sembra che bastasse chiamare qualcuno intelligente e con qualche idea sulla tivù.
Alla quarta puntata, la cosa che ti sembra ancora strana non è Fiorello: è che è quasi mezzanotte e ci sono dei bambini piccoli che sono stati tutta la sera in mezzo alla strada, contro le transenne, davanti al teatro delle Vittorie.