La televisione di strada

Sono stato ospite al programma di Chiambretti, qualche giorno fa. L’impegno è stato piuttosto leggero: sono uscito di casa, ho preso la bicicletta e sono andato qui dietro in piazza Cordusio, dove si trova lo studio en plein air della trasmissione. Sono stato cinque minuti seduto su uno sgabello, ho ripreso la bicicletta e sono tornato a casa che il programma era ancora in onda.
L’anno scorso, quando facevamo Ottoemmezzo, la mia preparazione era appena un po’ più complessa. Alle otto prendevo la bicicletta (un’altra, prestata da mio fratello) e andavo agli studi della 7 al quartiere Prati. Passavamo dieci minuti a far due chiacchiere davanti all’ascensore con il conduttore maggiore e gli ospiti (che un’efficiente redazione si era inventata nel pomeriggio) e poi andavamo in studio mentre uscivano quelli del telegiornale. Ci divertivamo parecchio: spesso sforavamo e Biscardi si arrrabbiava. Dopo un’ora riprendevo la bici e prima delle dieci ero a casa, a farmi un Quattrosaltinpadella.
Quando vedo le grandi produzioni televisive, quelle che muovono ospiti da un continente all’altro, fanno prove su prove, e coinvolgono apparati e tensioni defatiganti, sono sempre ammirato. Io non sarei capace, credo.
Ma anche la televisione piccola, non è niente male.

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