Qui ne avevamo già scritto, ma la stampa anglosassone si sta occupando molto articolatamente e seriamente del traffico di programmi tv su internet. Secondo l’Herald Tribune una nuova puntata di Lost viene scaricata in media 70 mila volte al giorno. Significa che nella settimana successiva alla sua programmazione, mezzo milione di persone la vede senza la pubblicità e senza essere rilevata dagli Auditel americani. Capirete che economicamente è un problema, oltre che una trasformazione culturale (è ancora televisione se non è più in televisione?), e che investe anche l’Italia, dove le serie americane arrivano in tv con molto ritardo, o non arrivano proprio.

Le reti televisive americane stanno cercando di combattere il fenomeno richiedendo maggiori diritti sui programmi per se stesse (i diritti di solito sono mantenuti da autori e produttori: le reti si limitano ad acquistarli per la loro programmazione): il broadcaster diventerebbe un soggetto maggiore, che avrebbe anche l’esclusiva sulla trasmissione via internet.

E leggendo di queste discussioni, mi sono chiesto: perché i programmi delle reti italiane maggiori – quelle che non replicano quasi niente, insomma – non sono accessibili su internet? Cosa osta? Se io – ragioniamo per assurdo – volessi rivedere una puntata di Porta a porta, perché non metterla in streaming sul web, che tanto non verrà mai più ritrasmessa? Osta la pubblicità, direte voi. Ma si può fare in modo di mantenerla. Bisogna lavorarci, certo, ma almeno tecnicamente è una questione da niente. Si potrebbe farlo oggi.

Vanity Fair