Le cose cambiano (un bignami Cameron per Vanity Fair)

Quattro mesi fa persino tra gli inglesi erano pochi quelli che conoscevano David Cameron. Era prima che il 39enne deputato conservatore annunciasse la sua candidatura alla guida del partito Tory, spappolato negli anni da leaderships mediocri e grige incapaci di reagire alla rivoluzione portata nella politica britannica dai ripetuti successi di Tony Blair. È bastato così poco tempo a farlo diventare il rischio maggiore per la continuità del potere labourista alla guida della Gran Bretagna? Sì. Cameron si è candidato alle primarie del partito a fine settembre, ha guadagnato rapidamente credito con un’oratoria e uno stile moderno che lo hanno fatto definire “il Tony Blair conservatore”, ha evaso con fermezza le curiosità giornalistiche sui suoi trascorsi giovanili con le droghe, e ha vinto, a dicembre. Adesso è il leader del secondo partito del Regno Unito, e ha ridato entusiasmo ai suoi aderenti. E ha vinto. Anche le recenti dimissioni di Charles Kennedy, capo del partito Liberaldemoratico che voleva rosicchiare la posizione ai tories, sono in relazione al crescente credito pubblico di Cameron.

David Cameron ha 39 anni, due bambini e un terzo in arrivo. La sua famiglia ha origini aristocratiche (sua moglie Samantha poi, è discendente di re, e persino dei Medici toscani) e lui è stato educato a Eton. Ha fatto il deputato per soli quattro anni, ma la sua inesperienza non ha preoccupato gli iscritti che lo hanno eletto. Non solo la sua immagine, ma anche la sua linea politica – rivolta più al centro che alla destra, più alla sua generazione che a quelle precedenti, aperta su temi come i diritti dei gay e la legislazione sulle droghe – sono competitive con quelle di Tony Blair, di cui potrebbe ereditare molti elettori. Quando si voterà, non prima del 2009.

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