Non faccio nomi

Già l’idea che l’eventuale refuso capitato a Google nel giorno di San Valentino fosse una notizia dà il quadro dello stato di cieca schiavitù in cui versa il giornalismo non solo italiano nei confronti di alcune parole chiave: “google” ormai tira quanto “sesso”. “Sesso su google” e potresti andare in prima pagina sui tre maggiori quotidiani nazionali. Se nelle redazioni online e non applicassero la stessa eccitazione per gli errori sui propri prodotti, bisognerebbe incatenarli alle sedie.

Ma la ciliegina sulla torta è la puntuale conferma che l’aneddoto per cui la testata avrebbe per un giorno riportato “Googe” invece che “Google” (panico, terrore, raccapriccio!), segnalato da qualche blogger e approdato ai siti maggiori, era una fesseria:

“The simplest explanation, though, was that the strawberry’s green stem was meant to form a subtle «l»”

Mercury News, Pocket-Lint

(vedo che il titolo sulla “gaffe di Google” è stato saggiamente rimosso)

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